Una pista cinese per l’Obamagate?

Russiagate: dopo l’archiviazione di Flynn, riemerge la pista italiana che porta ai Dem. Il ruolo di Nawaf Obaid e Jho Low. I Biden e il ruolo dell’Ucraina. Chi è Michel Froman? – L’agente cinese Johnny Chung invitato alla Casa Bianca.

Nella vicenda Link Joseph Mifsud (il professore maltese che avrebbe dato le mail di Hillary Clinton hakerate dai Russi a George Papadopulos, collaboratore di Trump) ad un certo punto compare un accordo tra la Link e Essam & Dalal Obaid foundation (Edof) saudita, per finanziare il War and peace center, un centro di ricerca della Link.

Il finanziamento di 750 mila euro in tre anni (250 mila euro all’anno) sarebbe saltato per lo scandalo finanziario oscuro che ha coinvolto il fondo 1 Malaysia development berhad (1Mdb) e la Petrosaudi, azienda guidata da Tarek Obaid. 1Mdb vede sparire 3 miliardi e causa le dimissioni del primo ministro malaysiano Najb Razak.

Sul sito https://edof.org/fr/partenariats/link-campus-university/ si legge: “Il Centro EDOF lavorerà a stretto contatto con i vari dipartimenti accademici interdisciplinari della Link Campus University, nonché con governi e organizzazioni internazionali al fine di supportare esperti, accademici, ricercatori, diplomatici, governi e attivisti della società civile nei loro tentativi di aiutare i paesi in conflitto, crisi e transizione nel mondo. L’accordo di partenariato è stato firmato a Roma l’8 maggio 2017. “Siamo molto entusiasti di collaborare con la Link Campus Foundation per finanziare e consentire un’importante borsa di studio che mira a costruire ponti di mediazione nelle regioni di conflitto in tutto il mondo”, ha affermato il CEO di EDOF, il dott. Nawaf Obaid. “Abbiamo rispettato il lavoro di Link Campus per qualche tempo. Il Centro spera di svolgere un ruolo importante nel contribuire ai suoi sforzi per creare pace e buon governo rafforzando la capacità dei ricercatori, dei media e della società civile di esprimersi e di essere informati su questioni contemporanee vitali”.

Il professor Joseph Mifsud sarebbe stato nominato direttore fondatore del Centro per un periodo di tre anni. Borse di studio e borse di studio sarebbero assegnate nel campo degli studi di guerra e pace. Il Centro terrebbe anche seminari e conferenze internazionali, produrrebbe pubblicazioni di ricerca e nominerebbe Senior Fellows nel campo degli studi di Guerra e Pace.

Secondo Tarek Obaid, fondatore di EDOF, “Il Centro adotterà un approccio molto pragmatico per contribuire a portare un pensiero più intelligente e pertinente nell’area della mediazione dei conflitti”. Raggiungerà questo obiettivo avendo tre aree di concentrazione: formazione, tutoraggio e fornitura di piattaforme per seminari professionali ed esperti; rafforzamento delle capacità delle istituzioni e dei gruppi civici; e lavoro con partner indipendenti e ufficiali per rimuovere gli ostacoli alla libera espressione, al dibattito pubblico solido e al coinvolgimento dei cittadini aperti. “Offrire questa piattaforma di ricerca per esperti è il modo di EDOF di cercare di supportare coloro che stanno riflettendo su come possiamo portare una soluzione ad alcuni dei conflitti più intrattabili nel nostro mondo.”

La figura di Tarek Obaid e Nawaf Obaid conducono ad un possibile link con Barack Obama. Un link che passa attraverso Mike Froman, come si legge su www.sarawakreport.org.

https://www.sarawakreport.org/2016/01/how-najib-used-petrosaudi-to-wage-black-propaganda-against-anwar-exclusive/

“Se le autorità malesi – scrive Sarawakreport – si sono davvero impossessate dell’intero dossier Justo sul rapporto tra 1MDB, Jho Low e PetroSaudi, saranno in grado di verificare da sé che il 26 ottobre 2010 un certo Nawaf Obaid ha scritto un’e-mail molto strana all’allora vice Consigliere per la sicurezza nazionale per gli affari economici internazionali nel Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Michael Froman. L’email a Mike Froman era intitolata “Avviso RISERVATO”. Nawaf lo inoltrò quindi a suo fratello, Tarek Obaid, CEO di PetroSaudi, che a sua volta lo inviò a nientemeno che a Jho Low, l’uomo che aveva negoziato la joint venture 1MDB con PetroSaudi per conto del Primo Ministro Najib Razak” .

Nel testo compaiono i nomi di Jho Low , di Nawaf Obaid, di Tarek Obaid e Mike Froman.

Chi è Michael Braverman Goodman Froman, compagno di classe alla presso la Harvard Law School, di Barak Obama.

Nato il 20 agosto 1962) è un avvocato americano che è stato rappresentante commerciale degli Stati Uniti dal 2013 al 2017. È stato assistente del presidente degli Stati Uniti e vice consigliere per la sicurezza nazionale per gli affari economici internazionali, una posizione detenuta congiuntamente dal Consiglio di sicurezza nazionale e dal Consiglio economico nazionale. In quella posizione ha servito come sherpa degli Stati Uniti ai vertici delle potenze economiche G7 , G8 e G20 . Il 2 maggio 2013 il presidente Barack Obama lo ha nominato successore dell’ambasciatore Ron Kirk come rappresentante commerciale degli Stati Uniti. È stato confermato il 19 giugno 2013.

 

Froman, dunque, non è solo un compagno di classe del presidente Barack Obama, ma un uomo nominato dallo stesso in punti chiave dell’amministrazione Usa.

 I rapporti tra Nawaf Obaid e Jho Low sembrano, dalle ricostruzioni malesi, assai stretti. Seguiamo le ricostruzioni.

Nawaf Obaid ha istituito un “istituto di studi strategici”, chiamato Saudi National Security Assessment Project e ha operato come un “think tank” privato, specializzato nella fornitura di presunte informazioni e informazioni sull’Arabia Saudita agli sconcertati occidentali.

Nel 2105 i fratelli Obaid hanno imitato Jho Low e creato una fondazione in nome dei loro genitori, che hanno fortemente promosso come istituzione filantropica.

Nawaf aveva sviluppato i suoi legami accademici e trascorso del tempo a Washington, temporaneamente come consigliere dell’ambasciatore Prince Turki al-Faisal nel 2005. Tuttavia, un articolo di opinione provocatorio nel Washington Post (che suggeriva il potenziale di guerra tra estremisti sauditi e America) gli ha fatto perdere questo lavoro.

Quindi, Nawaf è tornato a Riyad entro il 2010, coltivando i suoi contatti occidentali e fornendo i suoi “op” (opinioni) alle organizzazioni giornalistiche ogni volta che poteva. In quel momento aveva anche un lavoro nella famiglia reale saudita di Riyadh, che era considerata un accesso considerevole, così come l’amicizia e le relazioni d’affari di Tarek con il settimo figlio del re Abdullah, il principe Turki bin Abdullah.

Il database di PetroSaudi ha fornito ampie informazioni che dimostrano che durante questo periodo Nawaf Obaid è stato fortemente coinvolto nel fornire una serie di favori a Najib, per conto di Tarek e Jho Low all’indomani dell’accordo di PetroSaudi , per il quale sembra essere stato estremamente bene remunerato.

Nel frattempo, le prove via e-mail indicano che l’area principale in cui Nawaf era stato impegnato per aiutare era la campagna di propaganda anti-Anwar, mirata ad abbattere le simpatie liberali occidentali per il leader dell’opposizione malese, dipingendolo come un terrorista.

Le e-mail mostrano che questi sforzi di Nawaf e Tarek Obaid furono per volere di Jho Low, che descriveva regolarmente il Primo Ministro come il suo “BB” (grande capo). La Low aveva versato 300 milioni di dollari in PetroSaudi e pagato a Tarek una commissione di intermediazione di 85 milioni di dollari per aver agito come “fronte” nello schema per sottrarre un totale di 1,4 miliardi di dollari dalla joint venture da 1 MB.

Nawaf passava informative ai politici americani, ma cos’erano esattamente queste “informative” che Nawaf, in quanto presunto insider reale saudita, stava passando ai politici americani?

Le e-mail che sono passate tra i due fratelli Obaid e Jho Low sul database di PetroSaudi sono informative sul fronte malese, perché anche se Nawaf ha indicato a Mike Froman che il suo documento di “valutazione” era altamente segreto, in realtà lo stava facendo passare ai giornalisti, al fine di ottenere pubblicità negativa contro Anwar nei principali media statunitensi e britannici.

Perché Nawaf stava intraprendendo questo lavoro di raccontare una storia scurrile su Anwar?

Una grande quantità di corrispondenza mostra che Jho Low e il suo “BB” Najib Razak stavano tentando di sfruttare la loro relazione con gli Obaid per promuovere le loro altre agende.

Da quanto risulta dalla ricostruzione dei media malaisiani i rapporti tra Nawaf Obaid e Jho Low sono stati stretti e continuativi.

Torniamo ora a Mifsud e all’interesse di Navaf Obaid per la Link.

La ex moglie di Mifsud , Janet Mifsud, insegna all’Università di Malta ed è specializzata in farmacologia clinica e tossicologia ed è stata invitata a collaborare con la Mayo clinic, organizzazione che gestisce 70 ospedali, specializzata in ricostruzione facciale. La Mayo clinic ha un rapporto con la Essam & Dalai Obaid foudation.

Tra Mifsud è Nawaf – scrive La Verità (20.11.2019) – è sempre corso buon sangue: già ai tempi in cui il maltese era direttore della London Accademy of diplomacy (2015) il saudita figurava come visiting fellow. E quando nel 2017 la Edof stringe la partnership con la Link, Nawaf Obaid vola a Roma per partecipare a un incontro sul G7 alla presenza, tra gli altri, dell’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria e del professor Guido Alpa, mentore del premier Giuseppe Conte”.

Al quotidiano la Verità, Alessandro Zampini, membro del cda della Link Campus University e compagno di Vanna Fadini, amministratrice della Gem, società di gestione della Link, ha dichiarato, a proposito del rifugio del professor Misfud: “Secondo me, visto che aveva amici nei Paesi arabi, probabilmente quell’area potrebbe essere un posto ‘pulito’ per lui, dove è più facile nascondersi”.

In agosto 2019 l’avvocato di Mifsud ha depositato una memoria difensiva negli Usa. John Solomon, su The Hill, in base a quanto dichiaratogli dall’avvocato Stephan Roh, scrive che “Mifsud era un collaboratore di vecchia data dei servizi di intelligence occidentali” e che gli “venne richiesto dai suoi contatti alla Link Univerity di Roma e dal London Center of International Low Practice di incontrare Papadopulos a pranzo a Roma a metà marzo 2016”.

George Papadopulos era il consigliere della campagna elettorale di Trump. Ed è proprio a Papadopulos che Mifsud spiegò di avere appreso che il governo russo possedeva materiale compromettente su Hillary Clinton.

Papadopulos, come riporta La Verità (3 agosto 2019), ha dichiarato a Star Mag “che nella telefonata di Trump a Giuseppe Conte la figura di Mifsud sia stata «parte centrale della conversazione» e che i governi italiani dell’epoca abbiano avuto un ruolo importante nella vicenda, agendo per metterlo in trappola. Quali? Quelli di Renzi e Gentiloni, grandi sostenitori dei Clinton”.

La Verità (11 agosto 2019) scrive che Rudolph Giuliani parla di una “cospirazione internazionale” e che “ci sono le prove che sia avvenuta in Ucraina, nel Regno Unito e in Italia”. Al tempo l’Italia era governata da Renzi.

“Il sospetto dell’amministrazione Trump – scrive Gabriele Carrer su la Verità dell’11 agosto 2019 – è che l’Italia di Renzi abbia avuto un ruolo nel piano dei servizi segreti occidentali per fermare Trump utilizzando Mifsud per diffondere le voci sul «materiale compromettente»”.

La Verità, 6 novembre 2019, a firma di Giacomo Amadori, scrive che Vanna Fadini è titolare al 77% e amministratore della Gem e detiene anche il 60% della Link Consulting srl e che la sigla maltese Suite Finance SccPlc è stata cooptata come socio nella compagine dell’Università per un aumento di capitale. L’operazione non è andata in porto.

Alla Link, scrive Amadori, erano in attesa di soldi russi, via Malta, ma non erano dell’Università Lomonosov.

E qui entra in scena l’Ucraina, dove opera Hunter Biden, figlio di Joe Biden.

L’8 novembre 2019 La Verità titola a pagina 11: “I 9 milioni alla Link venivano dall’Ucraina – Stephen Roh, legale controverso del prof. Mifsud, dice la sua sul misterioso bonifico che era atteso dall’ateneo il 5 marzo 2018 – «Soldi da Mosca? Scotti disse che arrivavano da Kiev». Ma il presidente nega tutto”.

Roh, nell’articolo a firma di Giacomo Amadori e Antonio Grizzuti, sostiene che Mifsud aveva più rapporti con l’Ucraina che con la Russia.

Sono giorni nei quali i Dem americani montavano la richiesta di impeachement per Trump a seguito di una telefonata al suo omologo ucraino, Volodymyr Zelensky, facendo pressioni affinchè si portasse a fondo un’indagine su Joe Biden. A scovare la notizia è Eric Ciaramella, ex Cia, ospite proprio di Biden al pranzo di Gala organizzato in onore di Matteo Renzi nell’ottobre 2016. AKiev c’è il figlio di Biden, Hunter, che è nel consiglio di amministrazione di Buirisma Holding, la più grande compagnia di gas naturale ucraina. A capo di Burisma c’è l’imprenditore ucraino già ministro dell’ecologia e delle riserve naturali tra il 2010 e il 2012, al tempo del presidente filorusso Viktor Yanukovych, deposto nel febbraio del 2014 e sostituito dall’obamiano Petro Poroshenka.

“Mentre il figlio fa affari – scrivono Giacomo Amadori e Antonio Grizzuti – Biden è il membro dell’amministrazione Obama più impegnato in Ucraina durante la crisi politica della Russia. Un’attività diplomatica rinforzata dalla promessa di 1 miliardo di aiuti a stelle e strisce. Anche grazie a questa leva il governo americano o quanto meno l’ambasciata Usa pone come condizione le dimissioni del procuratore generale dell’Ucraina Viktor Shokin, il quale stava indagando su Burisma”.

I soldi alla Link venivano secondo Roh dall’Ucraina. Da Burisma? Scotti ha engato decisamente ogni rapporto con Kiev, ma le coincidenze di luogo e di date fanno pensare ad un possibile rapporto.

Torniamo ora a Low, altro personaggio chiave della vicenda.

Jho Low è il finanziere malese che è considerato il principale responsabile dello scandalo malese. .

Low Taek Jho (nato il 4 novembre 1981), spesso chiamato Jho Low , è un malese di origine cinese ricercato dalle autorità di Malesia, Singapore e Stati Uniti in relazione allo scandalo 1MDB . È il beneficiario di numerosi beni fiduciari discrezionali dichiarati dal governo degli Stati Uniti provenienti da pagamenti provenienti dal fondo malese 1MDB . I pubblici ministeri hanno affermato che Low è stato la mente di un piano per sottrarre complessivamente 4,5 miliardi di dollari USA da 1MDB nei suoi conti personali.

Jho Low è stato associato a numerose transazioni di alto valore, tra cui acquisizioni di aziende, immobili di lusso e arte, oltre alla filantropia.

Si crede che Jho Low si trovi in ​​Cina, dove viaggia in gran segreto attraverso le principali città. È riuscito a viaggiare liberamente nonostante la polizia malese abbia inviato un allarme rosso dell’Interpol , citando che queste azioni sono motivate politicamente.

Il 3 novembre 2019, i giornali hanno riferito che a settembre 2015 a Jho Low era stato concesso un passaporto cipriota. È stato riferito che Jho Low aveva ottenuto il passaporto nell’ambito del regime di investimenti per la cittadinanza cipriota “entro due giorni dall’investimento in alcuni immobili” a Cipro. A quel tempo, non vi era alcun mandato contro Jho Low per lo scandalo 1MDB, tuttavia era già sotto inchiesta. La rivelazione relativa alla cittadinanza cipriota di Jho Low è arrivata dopo che il sistema di investimenti per la cittadinanza cipriota è stato esaminato dopo che è stato rivelato che il governo di Cipro , sotto la presidenza di Nicos Anastasiades , aveva concesso la cittadinanza alle élite cambogiane.

Jho Low viene da una famiglia benestante—sicuramente milionaria—ma comunque meno abbiente della classe di miliardari cui lui aspira. Suo padre, Larry, aveva investito in un’azienda tessile, ma era conosciuto in tutta la Malesia come un truffatore. Low era cresciuto assistendo ai party del padre, quelli in cui faceva arrivare modelle dalla Svezia per fare festa sul suo yacht. Dal padre, Low ha imparato tutto sulle compagnie offshore. Aveva un fratello e una sorella, e Larry aveva grandi aspirazioni per tutti e tre i figli. Così, Low fu mandato ad Harrow [una scuola d’elite di Londra], dove fece amicizia con i membri di importanti famiglie reali dell’Asia e del Medio Oriente, e conobbe il figliastro del futuro primo ministro malese, Najib Razak. Voleva a tutti i costi diventare membro di quella classe sociale, e ci riuscì.

Jho aveva detto ai suoi soci che stava “lavorando con l’intelligence cinese” e che il governo di Pechino l’avrebbe protetto. Si pensa che Jho Low oggi si trovi in Cina, forse a Hong Kong, Shenzhen o Macao.

“Malaysia Development Berhad (1MDB) – scrive Sarawakreport – è un’impresa insolvente di sviluppo strategico malese, interamente di proprietà del Ministro delle finanze (incorporato). Dal 2015, la società è stata sottoposta a un attento esame per le sue transazioni sospette di denaro e prove che indicano il riciclaggio di denaro, frodi e furti. Una causa intentata dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DOJ), ha affermato che almeno 3,5 miliardi di dollari sono stati rubati dal fondo statale 1MDB della Malesia. 1MDB è stato istituito per guidare le iniziative strategiche per lo sviluppo economico a lungo termine per il Paese attraverso la creazione di partenariati globali e la promozione di investimenti esteri diretti. 1MDB si concentra su progetti di sviluppo strategico nei settori dell’energia, immobiliare, turismo e agroalimentare. 1MDB è stato coinvolto in diversi progetti di alto profilo come il Tun Razak Exchange, il progetto gemello del Tun Razak Exchange Bandar Malaysia e l’acquisizione di tre produttori indipendenti di energia elettrica. Il 28 settembre 2009, 1MDB ha costituito una joint venture (con PetroSaudi Holdings (Cayman) Ltd; il nome della società era 1MDB-PetroSaudi Ltd con un rapporto 60:40 in cui 1MDB deteneva il 40% con un contributo in contanti di 1 miliardo di dollari, mentre PetroSaudi Holdings ha contribuito con attività di almeno 1,5 miliardi di dollari. Vi erano quattro diverse società registrate sotto il nome di PetroSaudi, ma le proposte di investimento presentate al consiglio di amministrazione di 1MDB non lo affermarono.

Lo scandalo 1Malaysia Development Berhad o 1MDB è uno scandalo politico in atto in Malesia. Nel 2015, l’allora Primo Ministro della Malesia Najib Razak è stato accusato di incanalare oltre 2,67 miliardi di RM (quasi 700 milioni di USD) da 1Malaysia Development Berhad (1MDB), una società di sviluppo strategico gestita dal governo, ai suoi conti bancari personali. L’evento ha suscitato critiche diffuse tra i malesi, con molti che chiedevano le dimissioni di Najib Razak – incluso il dottor Mahathir Mohamad, uno dei predecessori di Najib come Primo Ministro, che alla fine sconfisse Najib per tornare al potere dopo le elezioni generali del 2018”.

Quanto a Mahathir, il suo governo ha bloccato tre grandi progetti sostenuti dalla Cina, del valore complessivo di 22 miliardi di dollari (18,8 miliardi di euro, ndr). Secondo Kuala Lumpur parte del prestito elargito da una banca statale cinese sarebbe finito in tangenti. Uno dei progetti bloccati riguarda la East Coast Rail Link, la linea ferroviaria che dovrebbe collegare la Thailandia alla capitale malese Kuala Lumpur attraverso la sottosviluppata costa orientale della penisola della Malaysia. Gli altri due stop sono arrivati per due oleodotti del costo di 1 miliardo di dollari ciascuno. Lo scopo della East Coast Rail, per Pechino, era arrivare nella parte orientale del Paese direttamente dal Mar Cinese meridionale e provvedere da lì allo scarico delle proprie merci, invece di dover portare le navi attraverso Malacca, snodo molto temuto dai cinesi. Il giorno dopo, il 5 luglio, è stato bloccato un altro progetto collegato a Pechino, relativo a una pipeline ed anche in questo caso si tratta di un piano pesante, di circa un miliardo di dollari.

Mahathir aveva lasciato intendere che non avrebbe intaccato la presenza cinese in Malaysia, in termini di investimenti, facendo altresì capire che si sarebbe resa comunque necessaria una ricontrattazione con la Cina. E in previsione della sua visita a Pechino ha probabilmente voluto fare capire ai cinesi che le sue intenzioni erano serie. La scorsa settimana la sua posizione al riguardo era stata espressa in una lunga intervista al South China Morning Post, il quotidiano di Hong Kong.

«Siamo sempre stati in contatto con la Cina», ha spiegato il premier, «Ai miei tempi (Mahathir ha guidato il paese dal 1981 al 2003, ndr) abbiamo sviluppato un’ottima relazione con la Cina, tanto da divenirne a volte portavoce. Siamo vicini da duemila anni e non ci hanno mai conquistato. Ho sempre considerato la Cina un buon vicino e un grande mercato per i nostri prodotti. La Malaysia è un Paese di commercio. Abbiamo bisogno di mercati e non intendiamo certo litigare con un mercato di quelle dimensioni».

Poco dopo, però, Mahathir mette in chiaro quanto probabilmente dirà ai dirigenti cinesi: «Sono state fatte cose dal precedente governo che non erano nell’interesse o a vantaggio della Malaysia. Noi diamo il benvenuto agli investimenti esteri diretti da ovunque provengano e certamente dalla Cina. Quando però questo significa cedere contratti alla Cina, prendere in prestito enormi somme di denaro dalla Cina. I contractor cinesi preferiscono usare forza lavoro dalla Cina e importano qualunque cosa dalla Cina, persino i pagamenti non vengono effettuati qui ma in Cina, noi non ne ricaviamo nulla».

E poco dopo queste parole, il governo di Myanmar ha ufficializzato l’intenzione di ridimensionare il progetto di una vasta zona economica speciale nello Stato di Rakhine, affidato alla Cina. Per Pechino, dunque, i rischi arrivano dal nuovo governo di Kuala Lumpur: il cortile di casa potrebbe non essere così sotto controllo come si pensava.

Riassumendo:

La Link ha un accordo con la Edof di Nawaf e Tarek Obaid dalla quale attendeva un finanziamento di 750.000 euro.

Tarek Obaid è il fondatore della Edof e della Petrosaudi, con la quale, il 28 settembre 2009, 1MDB ha costituito una joint venture (con PetroSaudi Holdings Ltd).

Nel 2015, l’allora Primo Ministro della Malesia Najib Razak è accusato per uno scandalo e nel frattempo la Malesia sviluppa con la Cina progetti poi bloccati dal nuovo governo. Uno dei progetti bloccati riguarda la East Coast Rail Link, la linea ferroviaria che dovrebbe collegare la Thailandia alla capitale malese Kuala Lumpur attraverso la sottosviluppata costa orientale della penisola della Malaysia. Gli altri due stop sono arrivati per due oleodotti del costo di 1 miliardo di dollari ciascuno. Lo scopo della East Coast Rail, per Pechino, era arrivare nella parte orientale del Paese direttamente dal Mar Cinese meridionale e provvedere da lì allo scarico delle proprie merci, invece di dover portare le navi attraverso Malacca, snodo molto temuto dai cinesi. Il giorno dopo, il 5 luglio, è stato bloccato un altro progetto collegato a Pechino, relativo a una pipeline ed anche in questo caso si tratta di un piano pesante, di circa un miliardo di dollari.

 Scoppia lo scandalo malese ed emergono i contatti tra Nawaf e Jho Low.

 Tre personaggi: Jho Low, Patrick Mahony e Tarek Obaid mettono in relazione l’intelligence cinese con l’Arabia Saudita e con Barak Obama.

Danial Dzulkifly (Kuala Lampur, 6 nov 2019) su Malaymail.com scrive: “L’ex CEO di 1DMB sostiene che Jho Low, Patrick Mahony e Tarek Obaid cospirati per ingannare Najib. L’ex amministratore delegato della Malesia Development Berhad (1MDB) Datuk Shahrol Azral Ibrahim Halmi ha concordato con l’affermazione della difesa del processo, che il finanziere fuggiasco Low Taek Jho aveva cospirato con due direttori di Petrosaudi International Limited (PSI), Patrick Mahoney e Tarek Obaid per fuorviare l’ex Primo Ministro Datuk Seri Najib Razak, l’Alta Corte lo ha ascoltato oggi. L’affermazione è stata avanzata dall’avvocato di Najib Tan Sri Muhammad Shafee Abdullah, che ha interrogato Shahrol sul contenuto di un’e-mail tra Obaid e Mahony, che aveva cospirato con Low per non dire a Najib una perdita di 500 milioni di dollari per la joint venture abortiva tra 1MDB e PSI. L’email che è stata letta in tribunale da Shafee ha mostrato che Obaid e Mahony, insieme a Low, intendevano cancellare la perdita presumibilmente causata dalle “promesse e ritardi infranti” di 1MDB. “In base al punto quattro e solo al punto quattro, sembra che ci sia una cospirazione per fuorviare il primo ministro”, ha detto Shahrol. Shahrol si riferiva a un paragrafo sull’e-mail in cui Mahoney scriveva a Obaid: “Penso che dire che i ritardi ci siano costati … ci aiuti perché possiamo quindi incolparli per le perdite in seguito.” Shafee ha anche suggerito a Shahrol che tutti e tre i finanziatori avevano sottratto $ 500 milioni per il loro uso personale e avevano cospirato per frodare più fondi da 1MDB. Tuttavia, Shahrol ha risposto che non era a suo agio nel concordare con il suggerimento di Shafee, affermando che non aveva informazioni complete per concludere con l’affermazione di quest’ultimo. Ad un certo punto, nell’agosto 2010, tutti e tre i finanziatori intendevano invece convincere Najib a investire altri 500 milioni di dollari con loro per presumibilmente catturare altre opportunità di investimento redditizie. Ieri Shahrol ha spiegato che 1MDB ha registrato gravi perdite nei suoi rapporti commerciali con PSI, incluso un investimento iniziale di 1 miliardo di dollari, un prestito di 500 milioni di dollari nel 2010 e un altro prestito di 330 milioni di dollari nel 2011. Shahrol aveva anche precedentemente testimoniato che il miliardo di dollari USA era stato versato sotto forma di $ 300 milioni alla società di joint venture PSI-1MDB e alla società da $ 700 milioni alla Good Star Limited. I pubblici ministeri hanno affermato che 20 milioni di dollari statunitensi dei 700 milioni di dollari versati al fuggiasco Good’s Good Star sarebbero stati incanalati verso Najib. A settembre, Shafee aveva anche interrogato l’ex ufficiale speciale di Najib Datuk Amhari Efendi Nazarrudin sulla stessa e-mail di Obaid e Mahony.

Amhari ha anche concordato con Shafee che esiste una “possibilità” che Najib sia stato indotto in errore sulla base delle e-mail. Shahrol è il nono testimone dell’accusa a testimoniare contro Najib, e oggi è il 31 ° giorno del processo. Il processo in corso 1MDB di Najib comporta 25 accuse penali – quattro conteggi di abuso della sua posizione per il proprio vantaggio finanziario per un totale di quasi 2,3 miliardi di RM presumibilmente originati da 1MDB e i risultanti 21 conteggi di riciclaggio di denaro.

R. Loheswar su Malaymail.com, il 20 febbraio 2019, scrive: Justo: la sonda svizzera per lo spionaggio economico è il risultato di “prodezza pubblicitaria”. Justo ha accusato due direttori di Petrosaudi, Patrick Mahoney e Tarek Obaid, di essere responsabili della cosiddetta prodezza di pubbliche relazioni. Xavier Andre Justo, banchiere svizzero trasformato in informatore, ha scartato le accuse di illeciti in Svizzera, sostenendo che le indagini contro di lui per lo spionaggio economico provenivano da un’acrobazia di pubbliche relazioni (PR) di due suoi ex colleghi.

Justo ha accusato due direttori di Petrosaudi, Patrick Mahoney e Tarek Obaid, ricercati in diversi paesi in relazione allo scandalo 1Malaysia Development Bhd (1MDB), come responsabile della cosiddetta acrobazia. “Questa è una trovata pubblicitaria dei registi di Petrosaudi in quanto vogliono che io faccia fronte alla legge visto che sono stati indagati per il loro coinvolgimento nel caso 1MDB”, ha detto Justo ad Astro Awani. Ha aggiunto che l’inchiesta è contro un vecchio caso.

Le autorità svizzere hanno avviato un’indagine nei confronti di Justo da parte sua nell’esporre lo scandalo 1MDB sostenendo di aver rubato proprietà agli ex datori di lavoro Petrosaudi.

L’ufficio del procuratore generale della Svizzera (OAG) ha riferito ad Astro Awani che l’11 dicembre 2017 è stato presentato un reclamo ufficiale a OAG da qualcuno vicino alle indagini 1MDB.L’OAG ha quindi aperto un fascicolo contro Justo il 19 settembre 2018, sostenendo che Justo potrebbe aver violato l’articolo 273 del codice penale in Svizzera.Justo era tuttavia non impressionato dalle accuse e dalle indagini imminenti. “Questo è un fatto antico del 2017 quando noi, come famiglia, abbiamo presentato nuovamente denunce di criminali a Tarek Obaid e Patrick Mahony. Quello che hanno fatto invece di farci causa per diffamazione hanno presentato una denuncia contro di noi per spionaggio industriale. “Ormai sappiamo tutti che l’unico lato industriale di Petrosaudi era il lato criminale e che non avevo rubato alcun dato”, aveva poi detto Justo sul suo profilo Facebook. Justo ha aperto il coperchio dello scandalo 1MDB quando ha preso file da Petrosaudi, il suo ex posto di lavoro, e li ha condivisi con l’editore del rapporto Sarawak Clare Rewcastle-Brown nel 2015. Tarek e Mahoney sono sotto controllo per la loro parte nel consentire il trasferimento di miliardi di ringgit dal 1MDB attraverso la loro azienda”.

Per il Russiagate, ora Obamagate, la pista Dem americana appare ben tracciata e quella cinese non è impossibile, dati i precedenti e lo scandalo della Malesia.

I rapporti tra i Dem e la Cina, del resto, sono antichi e acclarati. Nel 1996 il Partito democratico americano “avrebbe ricevuto – secondo quanto scrive Roger Faligot (I servizi segreti cinesi- Newton Compton) – una somma pari a 4,5 milioni di dollari per il comitato di rielezione di Clinton, provenienti dal gruppo sino-indonesiano Lippo e da quelli sino-thailandesi Charoeun Popkhand e San Kin Yip, con base a Macao. Tra i fondi figurerebbero circa 300.000 dollari forniti direttamente, su richiesta del capo dell’informazione dell’Epl-2, il generale Ji Shende, assistente di Xiong Guankai”. In nota al testo di Faligot si legge: “Nel settembre 2007, il “Wall street Journal” ha rivelato che Norman Hsu, cittadino di Hong Kong legato a queste stesse reti di contatti e condannato per frode, aveva contribuito alla campagna della senatrice democratica [Hillary Clinton, ndr] che lo obbligava a consegnare, sotto forma di donazione, 85 mila dollari”.

L’agente dell’Epl-2 negli Usa, scrive Faligot, Johnny Chung, un impiegato “del gruppo sino indonesiano Lippo, partner finanziario e commerciale di molte imprese della Cina popolare” è stato “integrato nella segreteria di Stato al commercio e poi consigliere di Ron Brown (Segretario al Commercio Usa) per la Cina”. Ron Brown è morto nell’aprile del 1966 in uno strano incidente aereo in Croazia.

Nel gennaio del 1994, “con il via libera dello stesso Brown – scrive Faligot – , Huang gode di un accesso illimitato ai documenti confidenziali dell’informazione economica e tecnologica” e quando “Clinton viene eletto presidente, Huang è invitato alla Casa Bianca. Nello stesso periodo, il gruppo China resources (Huaren Jituan) con sede a Hong kong, diventerà azionaria di Lippo al 50%. Questo gruppo effettuerà donazioni al partito democratico in vista della rielezione di Clinton nel 1996. L’affare si complica se si considera che China Resources serve anche da copertura all’Epl-2 diretta dal generale Ji Shengde”.

Quanto sin qui scritto è il risultato di un’attenta consultazione delle “fonti aperte”, alle quali tutti possono accedere, anche per approfondire l’argomento. L’insieme dei fatti fa intravvedere una pista possibile, fatta di molte coincidenze e di molti rapporti che fanno apparire un filo rosso. Nessuno possiede la verità. Tuttavia i fatti e le coincidenze, i rapporti tra i personaggi, costituiscono materiale di riflessione e indicano una possibile traccia di indagine che porta alla reale possibilità che quello che oggi viene definito Obamagate abbia un fondo di verità.

© Silvano Danesi

 

 

 

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L’Italia cavia di un progetto gesuitico

Il link Conte, Gesuiti e M5S

Per quale motivo Giuseppe Conte, nonostante la sua manifesta incapacità a governare il Paese, viene tenuto sotto tutela da Jorge Maria Bergoglio (“Non si cambia cavallo quando si è in mezzo al guado”) e incassa quotidianamente il silenzio assordante del Presidente della Repubblica sul suo operato, nonostante i richiami di illustri costituzionalisti e nonostante la deriva totalitaria messa in atto nel Paese?

La risposta sta in un progetto di lunga lena, che fa di Giuseppe Conte la sintesi di un rapporto che lega il mondo dei Gesuiti e quello del M5S.

Giuseppe Conte ha studiato al Collegio Nazareth di Roma, proprietà di una fondazione guidata dal cardinale Achille Silvestrini (morto da poco). In questo collegio studiano ragazzi che poi saranno messi nei posti adatti a fare gli interessi del Vaticano in giro per il mondo.

Achille Silvestrini è stato uno dei partecipanti del “Gruppo di San Gallo”, promosso dal vescovo Ivo Fürer. Quando il gruppo si incontrò per la prima volta, nel gennaio del 1996, su invito del vescovo Ivo Fürer, furono presenti: Carlo Maria Martini (gesuita e ispiratore delle linee guida del gruppo), arcivescovo di Milano; Paul Verchuren, vescovo di Helsinki (Dehoniano); Jean Félix Albert Maria Vilnet, vescovo di Lilla; Johann Weber, vescovo di Graz-Seckau; Walter Kasper, vescovo di Rottemburg-Stoccarda (in seguito cardinale) e Karl Lehmann, vescovo di Magonza (in seguito cardinale).

In seguito al Gruppo di San Gallo furono associati altri membri:

  • 1999: cardinale Godfried Danneels, arcivescovo di Malines-Bruxelles e Adrianus Herman van Luyn, vescovo di Rotterdam.
  • 2001: Cormac Murphy O’Connor, arcivescovo di Westminter (in seguito cardinale) e Joseph Doré, arcivescovo di Strasburgo.
  • 2002: Alois Kothgasser, (salesiano) vescovo di Innsbruk, in seguito arcivescovo di Salisburgo
  • 2003: Achille Silvestrini, cardinale della Curia Romana.
  • 2003 Ljubomry Huzar, arcivescovo maggiore di Leopoli degli Ucraini.
  • 2004: José Policarpo, Patriarca di Lisbona.

L’ultimo incontro del Gruppo di San Gallo si tenne nel 2006.

Secondo varie ricostruzioni, il Gruppo di San Gallo avrebbe fatto in modo che, dopo la rinuncia di Benedetto XVI, fosse eletto Jorge Mario Bergoglio.

Achille Silvestrini (Brisighella, 25 ottobre 1923 – Roma, 29 agosto 2019) è stato un cardinale al servizio della Santa Sede, prefetto emerito della Congregazione per le Chiese Orientali.

Diplomatico, il primo dicembre 1953 è entrato a servizio della Segreteria di Stato della Santa Sede, dove si è occupato delle relazioni con i paesi del sud-est asiatico, in particolare Vietnam, Cina e Indonesia. Silvestrini ha svolto per decenni incarichi diplomatici per la Santa Sede. Dal 1958 è stato segretario personale del cardinale segretario di Stato Domenico Tardini e ha mantenuto l’incarico anche presso il suo successore, Amleto Giovanni Cicognani (fino al 1969; anch’egli nato a Brisighella).

Come responsabile dei rapporti con le organizzazioni internazionali, Silvestrini è stato uno dei principali collaboratori del cardinale Agostino Casaroli, del quale ha assecondato la politica di apertura e distensione verso i regimi comunisti dell’Europa orientale; ha partecipato a tutte le fasi della conferenza di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (1975), dai lavori preparatori a Ginevra (1973), alla riunione di Belgrado, per verificarne l’applicazione; ha ottenuto il riconoscimento esplicito, nel decalogo finale, della libertà religiosa, che ha offerto una legittimazione alle richieste della Chiesa cattolica nei negoziati con i Paesi dell’Est europeo.

E’ stato capo delegazione della Santa Sede alla conferenza dell’ONU sull’uso civile dell’energia atomica (1971) e alla conferenza sul Trattato di non proliferazione delle armi atomiche (1975). Dal 28 luglio 1973 è stato Sottosegretario della sezione per i Rapporti con gli stati della Segreteria di Stato, dove nel 1979 ha assunto l’incarico di Segretario.

Silvestrini era considerato il “potere della Curia romana” dietro ad Andreotti, della cui corrente ha fatto parte il presidente della Link University, Vincenzo Scotti.

Nel Collegio Nazareth, dove studiava Conte, faceva il direttore monsignor Pietro Parolin, il segretario di Stato del Vaticano, l’autore della politica di apertura verso la Cina, che ha portato alla firma di un accordo, ancora segreto, con il regime di Xi Jinping. Politica, quella del Vaticano, che ha dettato e detta l’agenda al governo italiano, il quale ha firmato il Memorandum relativo alla Via della Seta, guarda caso, proprio con il governo presieduto da Giuseppe Conte.

In una fase delicata della politica italiana, serviva, dunque, uno come Conte per tenere sotto controllo il governo gialloverde e, poi, per trasformarlo in un governo giallorosso (o Conte-bis) su suggerimento del pupillo di Barack Obama, Matteo Renzi, il quale faceva gli esercizi spirituali tutti gli anni dai gesuiti.

Renzi indica Conte (Conte – bis), ma lo fa anche Grillo Conte -1) imponendo uno che non era dei suoi e, successivamente, ponendolo al di sopra dei suoi, a dirigerli, a controllarli. Con poche dichiarazioni, Grillo ha tolto quasi tutto il potere a quelli che pensavano di essere i suoi e lo ha trasferito a Conte.

Da dove deriva tanta fiducia del M5S in Conte?

Il Movimento Cinque Stelle e i Gesuiti

Tutto nasce dall’esperimento che ha dato vita al Movimento Cinque Stelle.

In un articolo di Giacomo Amadori e di Gianluca Ferraris (Panorama, 3 aprile 2013) l’ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, fondatore della Gran loggia regolare d’Italia, restauratore in Italia degli Illuminati di Baviera e fondatore di Dignity, alla domanda dei giornalisti volta a chiedere se Gianroberto Casaleggio, autore di una profezia di “un futuro senza religioni in cui «l’uomo è Dio»” e che fa immaginare “un approccio umanistico”, sia stato un massone risponde: “Non mi risulta che Casaleggio sia massone, la sua ideologia è sicuramente più vicina a quella degli Illuminati di Baviera e all’accademia che io ho risvegliato in Italia nel 2002. Quale la differenza? I massoni vogliono migliorare il mondo così com’è, gli Illuminati puntano a ripensarlo rispetto alle future condizioni; in più gli Illuminati considerano la democrazia una forma di degenerazione del potere che va superata come hanno già postulato Platone e Aristotele. Il credo contenuto nel video della Casaleggio e associati va proprio in questa direzione”. “La visione di Casaleggio in Gaia e la mia nel libro La conoscenza umana (Marsilio) – continua Di Bernardo – sono molto simili: entrambi riteniamo che nel futuro dell’umanità scompariranno le differenziazioni ideologiche, religiose e politiche. Per me a governare sarà una comunione di illuminati, presieduta dal «tiranno illuminato», per Casaleggio a condurre l’umanità sarà la rete, probabilmente controllata dal tiranno illuminato. Un concetto che, però, Casaleggio non ha ancora esplicitato”.

Esplicitazione giunta di recente dal comico Giuseppe Grillo, con la sua teoria degli Elevati.

Il 4 marzo 2013 Casaleggio mette in onda Gaia, un video dove si afferma che si arriverà, il 14 agosto 2054, ad un mondo governato dalla rete, con un governo mondiale chiamato Gaia eletto dai cittadini attraverso la rete. Nel 2054 non esisteranno più partiti politici, ideologie, religioni e i cittadini non avranno più carte d’identità o passaporti, ma esisteranno solo se saranno iscritti a Earthlink, un social network, mentre una mega intelligenza artificiale collettiva, chiamata Braintrust, risolverà i problemi del mondo. Il primo esperimento è stato fatto sulla pelle degli Italiani e ne sopportiamo le conseguenze tragiche. Altro che intelligenza artificiale. Qui siamo in presenza di un tentativo di dittatura strisciante venduto per democrazia di massa ( https://www.youtube.com/watch?v=rx46BpHQ2mo ).

Le teorie di Gaia, frutto delle visionarietà di Gianroberto Casaleggio, esplicitate dal Comico Giuseppe Grillo, sono, secondo Giuliano Di Bernardo, molto vicine a quelle degli Illuminati di Baviera.

Chi sono gli Illuminati di Baviera?

L’Ordine degli Illuminati fu organizzato, il primo maggio 1776, da Adamo Weishaupt, sulla base di un modello gesuitico.

L’Ordine ebbe uno scopo più politico che religioso e la corrente illuministica interna alla Stretta Osservanza, alla ricerca di un progetto da opporre ai Martinisti, guardò agli Illuminati con la mediazione di Knigge, il quale aveva come modello il Paraguay gesuitico e pensava a stati modello nelle Indie Occidentali (America).

Alain Wodroow, uno dei massimi esperti dei Gesuiti, a proposito dell’esperimento del Paraguay, afferma: “Questa esperienza di comunismo paternalista è singolare e fu esempio per gli utopisti del XX secolo. L’ammirava persino Voltaire, che fu allievo dei Gesuiti, ma li detestava”. [i]

Ludovico Antonio Muratori lo definì “il cristianesimo felice nelle missioni dei padri della Compagnia di Gesù nel Paraguay”.

Emerge dalle aspettative del Knigge e in quelle del Muratori lo sfondo utopistico che si riallaccia alle teorie di Platone, di Tommaso Moro, di Campanella, ma anche quelle dei principi dispotici illuminati, come Federico II, il quale negli anni Settanta del Settecento ordinò la costruzione di Urbaniborg, sull’isola di Ven, per l’astronomo Tycho Brahe. Urbaniborg, collocato in un palazzo rinascimentale, è stato considerato il primo moderno centro di ricerca scientifica, dotato di biblioteca, laboratori e di un celebre osservatorio.

Le radici del progetto gesuitico di un “comunismo paternalistico”, che sta alla base dell’ingaggio di Conte sono, dunque, antiche e oggi hanno preso forma nel laboratorio politico italiano, con il totale avallo del gesuita Jorge Mario Bergoglio, il quale, con il segretario di Stato Parolin, ha intrapreso una marcia di avvicinamento al regime nazicomunista di Xi Jinping ed ha “ispirato” la firma del Memorandum riguardante la “Via della Seta”.

Il progetto gesuitico è perfettamente in linea con le idee globaliste della finanza internazionale, alla quale guarda da tempo il Pd. Il cerchio così si chiude.

Gli Italiani sono oggi le cavie di un esperimento che è avviato su una deriva autoritaria.

© Silvano Danesi

 

 

[i] Alan Woodrow, Una storia di potere, Newton Compton

“Trump introduce una pillola di realismo in un mondo di pazzi”.

“Trump introduce una pillola di realismo in un mondo di pazzi”.

E’ necessario premettere che ogni analisi ha come punto di partenza lo scenario geopolitico e che oggi questo riguarda l’egemonia nel mondo delle democrazie occidentali o quello della dittatura cinese.

E’ necessario inoltre ipotizzare come strategica un’alleanza tra Usa e Europa che sia capace di attrarre la Russia al fine di costruire una solida alleanza mondiale tra democrazie.

In un’intervista a La Verità del 18 novembre 2019, Gennaro Sangiuliano, direttore del TG2 e autore di un libro su Xi Jinping dal titolo: “Il nuovo Mao”, alla domanda sul confronto tra Cina e Usa risponde: “Sarà la contrapposizione dei prossimi decenni. E l’Occidente deve attrarre a sé la Russia: sarebbe un tragico errore “regalarla” all’altro campo”.

Dello stesso avviso è Carlo Pelanda nel suo testo: “La grande alleanza – L’integrazione globale delle democrazie” (Franco Angeli). “Il sistema di governo mondiale generato a Bretton Woods (1944), centrato sulla dominanza degli Stati Uniti, del dollaro e dei criteri occidentali nelle istituzioni internazionali, è in via di esaurimento. Gli Stati Uniti restano la potenza singola principale del pianeta, ma ormai sono troppo ‘piccoli’ per esercitare da soli la funzione ordinatrice globale come hanno fatto dal 1945 in poi”. Carlo Pelanda propone, pertanto, “un’Alleanza forte tra America, Paesi dell’Unione Europea e le democrazie asiatiche: Russia, India, Giappone”. “La convergenza progressiva della forza militare ed economica di queste meganazioni più l’area europea – continua Carlo Pelanda – sarebbe più che sufficiente per produrre una credibile sicurezza e governabilità economica globale. Il loro essere democrazie, pur con quella russa a rischio di regressione, con la prevalenza di quelle americana ed europea, darebbe un’anima, darebbe un’anima globalmente democratizzante e stabilizzante all’alleanza. La renderebbe un soggetto credibile di governo del pianeta”.

Giulio Sapelli, nel suo: “Un nuovo mondo – La rivoluzione di Trump e i suoi effetti globali” (Guerini e associati), scrive che “sino a quando l’Europa non raccoglierà il messaggio gaullista di costruirsi dall’Atlantico agli Urali, e continuerà a giacere, invece, sotto il tallone tedesco travestito da europeismo, non potrà più giocare quel ruolo benefico di guardiano pacifico dell’Heartland che ha esercitato per secoli”. A proposito della Russia Sapelli scrive: “La teoria di Primakov, il geniale ministro e intellettuale geostratega russo, maestro di Putin e di tutto il Kgb, è risultata vincente: è nel Medio Oriente che la Russia riacquista il suo ruolo globale di potenza euroasiatica. Ben si capisce allora che l’Unione Europea si è messa fuori gioco da sé”.

“Quello che si affermerà veramente – scrive Sapelli – sarà l’inizio del ritorno alla ragion di stato, ossia alla pace di Westfalia [1648], in un nuovo ordine internazionale fondato sul duopolio instabile tra Usa e Russia, con la Cina che vorrebbe o divenirne parte (formando un triopolio), oppure dominare da solo almeno l’Asia”. “Trump – afferma con convinzione Sapelli – introduce una pillola di realismo in un mondo di pazzi”.

Sapelli fornisce uno scenario: la Russia stabilizza il Medioriente, la Cina va contenuta e gli alleati sono il Giappone, il Vietnam e la Thailandia.

“La Russia – sostiene Sapelli – è potenza euroasiatica per eccellenza ed è indispensabile in questo disegno. Ma, per svolgere la sua parte nell’ordito geopolitico, deve avere mano libera in Europa sul fronte baltico e su quello che era un tempo il Sud della Nato”.

“Il nuovo disegno strategico [dovuto all’ingresso sulla scena di Trump, ndr] – secondo Sapelli – è nitido: si può da un lato giocare di sponda come roll back contro la Cina, mentre in realtà Xi Jnping ricerca un mondo duopolare, e dall’altro sempre gli Usa negoziano ora finalmente con la Russia e con l’India per non abbandonare alla Cina tutta l’Asia”.

“Ecco una previsione vera– sostiene Sapelli – : fine delle guerre mesopotamiche; ripresa da ricostruzione; keynesismo di guerra”.

In effetti i recenti fatti di passaggio del testimone tra Usa e Russia in Siria e nei rapporti con la Turchia lasciano pensare ad una normalizzazione del Medioriente.

Riguardo all’Europa Sapelli scrive: “L’Europa che i cattolici fondatori si ritrovarono a costruire dopo il massacro della Seconda guerra era piuttosto quello del cecoslovacco Coudenhove – Kalergi, affiliato allo Loggia viennese Humanitas e propugnatore della convinzione che occorreva promuovere lo spirito europeo prima della convergenza di interessi materiali per ottenere la pace. Nel 1923 propose di unire societariamente le miniere di carbone e le industrie siderurgiche franco-tedesche, così da scongiurare una nuova guerra, e nello stesso anno pubblicò Pan-Europa, un testo che ebbe un’eco ancora tutta da studiare e approfondire, ma che colpì soprattutto i circoli cattolici: Konrad Adenauer, Robert Schuman, Alcide De Gasperi lo lessero e lo rilessero e se ne fecero portatori e anche Winston Churchill ne fu profondamente influenzato. E ancora: per primo propose nel 1929 di adottare come inno europeo l’Inno alla gioia”.

L’influenza “delle idee di Coudenhove – Kalergi fu – continua Sapelli – profonda anche per Aristide Briand (anch’egli massone del rito scozzese accettato), il quale presentò alla Società delle Nazioni nel 1929, nell’approssimarsi della grande crisi, il suo primo progetto per un’Unione Pan-Europa. Dopo aver suggerito nel 1947 la creazione del primo francobollo comune, fondò nel 1948 l’Unione Parlamentare Europea, che dopo il Congresso dell’Europa a L’Aja nel 1948 condurrà alla creazione del Consiglio d’Europa e del suo Parlamento”.

Paneuropa fu pubblicato nel 1923 e conteneva le linee guida per il Movimento Pan-Europa, che fece il suo primo congresso a Vienna nel 1926. Nel 1927 fu eletto presidente onorario il massone di Rito scozzese Aristide Briand. Tra le personalità che parteciparono alla prima fase del movimento vi furono Albert Einstein, Thomas Mann, Sigmund Freud, Rainer maria Rilke, Miguel de Unamuno, Salvador de Madariaga, Ortega y Gasset e Konrad Adenauer.

©Silvano Danesi

Le spie cinesi in Italia e in Europa

L’attività di intelligence cinese in Italia è notevole e ad essa corrispondono le remore di alcune autorità italiane, allertate dagli Usa. C’è da chiedersi il motivo di tali remore.

Gli americani sono preoccupati che la sicurezza sia messa a repentaglio dalla infiltrazione di strumenti di ascolto e di controllo.

Di Cinesi si parla poco, eppure i loro uomini si stanno infiltrando nei governi occidentali, in maniera più lenta, subdola ed efficace”.

Nel 2012 l’intellingence cinese è passata da una modalità passiva a una modalità attiva.

Le priorità sono sì raccogliere informazioni sulla tecnologia militare e penetrare la rete internet, ma soprattutto comprare funzionari e famigliari delle élite politiche e del mondo degli affari perché si muovano affinché gli accordi tra terze parti siano sempre favorevoli alla Cina.

In Canada, Australia e Nuova Zelanda recentemente si sono dimostrati diversi tentativi da parte cinese di comprare influenza presso politici, università e think tank affinché siano questi ultimi a sponsorizzare i loro interessi.

Complicato, dunque, distinguere, il soft power dall’intelligence e gli affari dal condizionamento politico se c’è di mezzo la Cina.

E’ ormai opinione comune che gli sforzi cinesi nel raccogliere informazioni siano raddoppiati negli ultimi anni, specialmente dalla riforma dell’intelligence del 2016 e dalla riorganizzazione del ministero della Sicurezza di stato.

Il reclutamento cinese invece si basa sull’invisibilità e soprattutto sul futuro: l’obiettivo è quello di avere sempre più voci amiche nei paesi stranieri, ed è un gioco a lungo termine.

Bruxelles ha pubblicato un report nel quale segnalava la presenza nella capitale europea di “almeno 250 spie cinesi” sotto copertura.

Secondo l’intelligence interna (Dgsi) ed esterna (Dgse) di Parigi, i servizi cinesi, negli ultimi anni, hanno tentato di intromettersi nelle più alte sfere dell’amministrazione statale francese, nell’industria e nei grandi circoli del potere esagonale, attraverso social network come Linkedin, Viadeo e l’utilizzo di avatar digitali.

Nel dicembre 2017, l’intelligence tedesca aveva già denunciato le operazioni aggressive di Pechino, facendo sapere che erano stati contattati circa 10mila profili.

In Italia la penetrazione cinese si muove a tutto campo.

La People’s bank of China, che è la banca centrale cinese, equivalente della Banca d’Italia o della Fed Usa, possiede quote importanti di Intesa San Paolo, di Generali, di Eni, di Enel, di Terna, di Unicredit. I Cinesi con State gride corporation of China, colosso statale dell’energia, posseggono il 35 per cento di Cdp reti.

Cagliari diventerà la prima smart city italiana grazie alle reti integrate, ma soprattutto grazie alla tecnologia di Huawei, il colosso cinese che dopo aver investito 20 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo, oggi è diventato leader mondiale nell’infrastruttura 5G, che sta costruendo in tutti i Paesi. Vuol dire reti ad altissima velocità per la comunicazione mobile, per la connessione a droni, sensori, auto a guida autonoma, oltre che per la digitalizzazione di tutte le infrastrutture pubbliche: monitoraggio di ospedali, controllo del traffico, gestione dei rifiuti, riscaldamento e sicurezza.

L’Italia ha aderito al piano cinese di espansione in Europa (Via della Seta) nonostante le perplessità di Berlino, di Parigi e degli Usa.

Nel frattempo, a novembre l’Unione europea ha votato una legge che prevede uno screening degli investimenti diretti stranieri che possano mettere in pericolo la sicurezza, e il 7 gennaio l’università inglese di Oxford ha sospeso l’accettazione di fondi per la ricerca e donazioni filantropiche dal gruppo cinese.

L’Italia, nonostante gli avvertimenti ricevuti dal Copasir negli ultimi dieci anni, ha invece messo le sue reti in mano all’azienda cinese.

Persino la Panic Room di Palazzo Chigi, la stanza di massima sicurezza della presidenza del Consiglio, «passa attraverso due grandi nodi: il primo con i router di Tim, e quindi è fatto da Huawei», afferma Esposito. «Se ci fosse un microchip, loro potrebbero ascoltare o addirittura vedere in video il presidente del Consiglio: è possibile, ma non è mai stato provato».

Nella lista nera del Governo americano compaiono Huawei Italia e il Centro di ricerche di Segrate, il quale è uno degli undici centri di ricerca e sviluppo di Huawei sparsi per il mondo che appaiono scritti nella aggiornata Entity List. Quello di Segrate, alle porte di Milano, è stato il primo centro ricerca globale a essere inaugurato da Huawei fuori dai confini cinesi e guidato da uno dei più noti scienziati della compagnia: Renato Lombardi, impegnato nello studio delle tecnologie delle microonde usate nella comunicazione mobile e satellitare.

L’Italia quindi lascia le porte aperte al colosso cinese.

Gli esperti di sicurezza degli Stati Uniti ritengono che con l’aiuto di Huawei, il governo cinese sarà in grado di interrompere, sospendere, reindirizzare o monitorare il traffico Internet utilizzando stazioni di terra per cavi sottomarini, nonché attraverso l’hardware e il software che Huawei fornisce per queste stazioni.

Ren Zhengfei, il fondatore di Huawei, viene descritto come un genio delle comunicazioni, con un passato al servizio dell’esercito e del partito comunista cinese (anche se, visto il passato familiare di vicinanza al Kuomintang, non è mai stato portato ai vertici dell’apparato).

Nel nostro Paese la Huawei ha investito molto e le maggiori aziende di telecomunicazione (tra cui Telecom e Vodafone) hanno fatto e fanno ricorso alla tecnologia prodotta dalla società cinese. Secondo quanto sostengono alcune fonti, la tecnologia prodotta a Shenzhen verrebbe usata anche all’interno di reti protette su cui transitano informazioni potenzialmente sensibili.

«In base alle informazioni di intelligence che sono di pubblico dominio si sa che la Cina porta avanti una strategia di cyber-spionaggio industriale molto aggressiva, del resto necessaria per tenere il passo con i progressi tecnologici degli Stati Uniti e degli altri competitors», spiega Stefano Mele, coordinatore dell’Osservatorio InfoWarfare e Tecnologie emergenti dell’Istituto Italiano di Studi Strategici. «Considerato poi lo stretto legame che esiste in Cina tra imprese private, partito comunista ed esercito della Repubblica popolare, è ovvio che ci siano timori che Pechino possa aver affidato ad aziende cinesi – informalmente magari, e sicuramente solo ai massimi livelli – anche compiti non strettamente commerciali, anche se per ora non ci sono prove in questo senso. Le reazioni degli Stati Uniti e degli altri Paesi sono tuttavia indicative di questa preoccupazione».

In questo ambito in particolare, l’azienda che produce un dispositivo tecnologico potrebbe inserire all’interno dell’hardware un chip – ma si può agire anche a livello software – che permette l’accesso e lo spionaggio di tutte le informazioni veicolate.

Un cip difficilmente scopribile. Nell’ambito dell’informatica, infatti, i sistemi di protezione, come ad esempio l’antivirus o il firewall, girano al di sopra del kernel (semplificando, è il cuore di ciascun sistema operativo ndr). Perciò, questo genere di protezioni non riescono a “vedere” ciò che gira all’interno dei firmware dei chip che costituiscono hardware, che, pertanto, vengono considerati dal sistema operativo affidabili di default. Quindi se il trojan  che “ruba” le informazioni, o la backdoor che vi consente l’accesso, è a livello hardware non si riesce a rilevarlo. E casi simili, purtroppo, sono anche già documentati e da tempo noti agli esperti.

È molto difficile scovarlo anche smontando l’apparecchio, in quanto è un pezzettino di plastica identico a tutti gli altri contenuti nella scheda, e certamente non ha un cartello luminoso che lo evidenzia come chip-spia.

Cosa dovrebbe fare l’Italia? Dovrebbe innanzitutto porsi, con estrema urgenza, il problema di verificare la filiera produttiva dell’hardware e del software che introduciamo nelle reti sensibili e riservate del nostro Stato (una questione questa che in America è stata di recente posta dal direttore della National Intelligence tramite una direttiva). Senza un controllo di questo tipo, al di là dei possibili esiti, potremmo rendere la vita veramente facile a chiunque voglia carpire informazioni sensibili. L’Italia deve iniziare a discutere anche di questi problemi, valutandone al più presto i rischi al fine di garantire al meglio la tutela della sicurezza nazionale e dei propri interessi economici.

Il governo e il Parlamento italiano non sembrano disposti a parlarne.

Considerato l’interesse che i cittadini, le imprese e molti altri soggetti potrebbero avere nella vicenda appare molto negativa l’impossibilità di aprire una discussione pubblica. Specie se si pensa che l’Inghilterra – alleata di ferro dell’America, patria di uno dei migliori servizi segreti del pianeta e non certo nota per lavare i panni sporchi in piazza – sta affrontando proprio in questi giorni la medesima questione, coinvolgendo però i media, gli organi politici e l’opinione pubblica.

La questione Cina è di fondamentale importanza e sta assumendo una accelerazione strategica che può portare definitivamente l’Italia nell’orbita del Dragone.

©Silvano Danesi

 

Retelit, una scalata sospetta che porta al Vaticano e ai suoi interessi geopolitici

 

Che fine ha fatto la vicenda Retelit? Non è una domanda oziosa, visto che la scalata alla società strategica nelle telecomunicazioni è stata oggetto di una serie di servizi giornalisti per poi sparire nel nulla.

 

Ricapitoliamo, partendo dai fondi dell’Obolo di San Pietro, che dovevano andare ad un investimento petrolifero in Angola, ma poi sono stati dirottati per l’acquisto di un palazzo in Sloane Square a Londra.

A operare è il Fondo Athena (che fa riferimento al Vaticano), i cui soldi, mentre l’investimento londinese fatica a decollare, vengono usati per scalare Banca Carige (per molto tempo banca di riferimento della Cei), Tas e Retelit.

Per quest’ultima scalata il Financial Times, ha scoperto che una società finanziata da un fondo d’investimento finito al centro di uno scandalo Vaticano aveva assunto l’attuale presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte come consulente poco prima della sua nomina a capo del governo.

La vicenda risale alla primavera del 2018, quando il fondo Fiber 4.0, di proprietà al 40 per cento del finanziere Raffale Mincione, si stava scontrando con un’altra cordata di azionisti per il controllo di Retelit, una società proprietaria di 8 mila chilometri di fibra ottica in tutta Italia. Il Financial Times ha scoperto che il denaro con cui Mincione aveva conquistato la posizione di guida all’interno di Fiber 4.0, circa 200 milioni di euro, proveniva dalla segreteria di Stato del Vaticano. Proprio la segreteria di Stato del Vaticano e i suoi giri di affari con le società di Mincione sono al centro di un’indagine della polizia vaticana, che all’inizio di ottobre ha portato alla sospensione di cinque dipendenti della segreteria di Stato e al sospetto che milioni di euro siano stati sottratti alle casse del Vaticano per realizzare investimenti azzardati.

Conte venne coinvolto in questa vicenda proprio dal consorzio Fiber 4.0 guidato da Mincione. Nell’aprile del 2018 il gruppo era stato sconfitto in una votazione per il controllo di Retelit. Per cercare di rovesciare il risultato Fiber 4.0 ingaggiò Conte come consulente per un parere legale. Il 14 maggio, poche settimane prima della formazione del governo Lega-Movimento 5 Stelle, Conte inviò la sua consulenza a Fiber 4.0: l’unico modo di rovesciare la votazione a loro sfavore era un intervento del governo tramite il “golden power”, lo strumento che permette all’esecutivo di imporre a società ritenute strategiche, come quelle di telecomunicazioni, di seguire particolari orientamenti o di fare certe scelte piuttosto che altre. Meno di un mese dopo Conte divenne presidente del Consiglio e in uno dei primi Consigli dei ministri venne deciso di esercitare il “golden power” su Retelit, esattamente come lui stesso aveva suggerito nel suo parere per conto di Fiber 4.0.

Il Presidente del Consiglio ha più volte ribadito che non vi è stato alcun conflitto di interessi e non è non spetta a noi stabilire se ha torto o ragione. Per questo ci sono gli organi competenti.

Rimane il fatto che l’intreccio porta dritto in Vaticano, perché è con i suoi soldi che si sono fatte varie operazioni.

Va sottolineato che Retelit non è una società qualsiasi.

 

Retelit, uno dei principali operatori italiani di servizi dati e infrastrutture nel mercato delle telecomunicazioni, ha infatti ampliato, nel marzo 2018, come si legge sul sito della società, la sua rete internazionale con l’inserimento di nuove tratte di capacità in Asia e in Europa, pari a 160 Gbps. Le nuove rotte vanno ad aggiungersi a quelle già operative sul cavo sottomarino AAE-1, che con i suoi 25.000 km collega tre continenti (Asia, Africa, Europa) da Marsiglia a Hong Kong, e a quelle paneuropee.

L’operazione ha previsto l’apertura di nuove rotte diversificate per il Mediterraneo e il Far East. In particolare, Retelit ha rafforzato la sua presenza in Asia con un nuovo collegamento diretto tra Singapore e Hong Kong, diversificato rispetto alla corrispondente tratta già raggiunta tramite il cavo sottomarino AAE-1, nell’area del Mediterraneo con un anello tra la Sicilia e la Grecia (in particolare tra Palermo e Atene) e, infine, diversificando la tratta end to end dall’Italia al Far East, con un ulteriore collegamento diretto tra Palermo e Singapore.

Sempre sul sito della società si legge che l’infrastruttura in fibra ottica di proprietà della società si sviluppa per oltre 12.500 chilometri (equivalente a circa 321.000 km di cavi in fibra ottica) e collega 10 reti metropolitane e 15 Data Center in tutta Italia. Con 4.000 siti on-net e 41 Data Center raggiunti, la rete di Retelit si estende anche oltre i confini nazionali con un ring paneuropeo con PoP nelle principali città europee, incluse Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi e Marsiglia, raggiungendo anche New York e il New Jersey, negli USA.

Retelit è membro dell’AAE-1 (Africa-Asia-Europe-1), consorzio che gestisce il sistema di cavo sottomarino che collega l’Europa all’Asia attraverso il Medio Oriente, raggiungendo 19 Paesi, da Marsiglia a Hong Kong, con una landing station di proprietà a Bari e del Consorzio Open Hub Med, nodo delle telecomunicazioni digitali nell’area del Mediterraneo, con un Data Center di proprietà a Carini (PA).

Dal novembre 2018 l’azienda è parte di Ngena (Next Generation Enterprise Network Alliance), alleanza globale di operatori di telecomunicazioni nata per condividere i network proprietari dei membri e fornire una rete di connettività dati globale stabile e scalabile.

Tali asset fanno di Retelit il partner tecnologico ideale per gli operatori e per le aziende, con un’offerta completa di soluzioni digitali e infrastrutturali di qualità, affidabili e sicure. I servizi vanno dalla connessione Internet in fibra ottica al Multicloud, dai servizi di Cyber Security e Application Performance Monitoring ai servizi di rete basati su tecnologia SD-WAN.

 

Retelit è, come si vede, una società strategica nelle telecomunicazioni e non sfugge che rientra nell’alveo della sicurezza nazionale e di quella delle alleanze che l’Italia ha con altri Paesi europei e con l’America.

 

La scalata a Retelit ha avuto ed ha chiaramente un valore strategico per il ruolo dell’Italia nel quadro internazionale.

 

Che ci faceva il Vaticano in questa complessa manovra? E’ questa la vera domanda alla quale rispondere, visto che il Vaticano è il maggior sponsor dei rapporti dell’Italia con la Cina.

 

Se una società italiana, ossia Fiber 4.0, di fatto con i soldi del Vaticano (Fondo Athena) scala Retelit e grazie alla golden power elimina i concorrenti, di fatto consegna al Vaticano l’opportunità di avere una carta di contrattazione con la Cina in un campo strategico come è quello delle telecomunicazioni.

 

Guarda caso, Retelit è membro dell’AAE-1 (Africa-Asia-Europe-1), consorzio che gestisce il sistema di cavo sottomarino che collega l’Europa all’Asia attraverso il Medio Oriente, raggiungendo 19 Paesi, da Marsiglia a Hong Kong, con una landing station di proprietà a Bari e del Consorzio Open Hub Med, nodo delle telecomunicazioni digitali nell’area del Mediterraneo, con un Data Center di proprietà a Carini (PA).

 

La posizione dell’Italia è strategicamente decisiva e non è un caso che il Vaticano detti l’agenda al governo italiano in funzione di uno spostamento geostrategico dall’Occidente alla Cina.

 

© Silvano Danesi