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Magdi Cristiano Allam: far conoscere il Corano agli italiani

Da il Giornale, 27 febbraio 2012 –

 In un articolo nel quale chede ai prefetti di Milano e di Roma, alla Curia Ambrosiana e alla Segreteria di Stato del Vaticano,l’autorizzazione a organizzare due manifestazioni pubbliche in Piazza Duomo e in Piazza San Pietro per far conoscere agli italiani la verità sul Corano e su Maometto, Magdi Cristiano Allam elenca alcuni pezzi del Corano che, scrive, “ordinano ai musulmani di uccidere gli ebrei e i cristiani a meno che non si convertano e non si sottomettano all’islam: «Combattete coloro che non credono in Dio e nell’Ultimo Giorno, che non vietano ciò che Dio e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la Gente del Libro (ebrei e cristiani, nd r), che non scelgono la religione della verità, finché non paghino il tributo uno per uno, umiliati. Dicono gli ebrei: “Esdra è figlio di Dio” e i cristiani dicono: “Il Messia è figlio di Dio”. Questo è ciò che esce dalle loro bocche. Ripetono le parole di coloro che prima di loro furono infedeli. Dio li distrugga! Essi sono fuorviati » (IX, 29-30). «E quando il tuo Signore ispirò agli angeli: “Invero sono con voi: rafforzate coloro che credono. Getterò il terrore nei cuori dei miscredenti: colpiteli fra capo e collo, colpiteli sulle falangi! E ciò avvenne perché si erano separati da Dio e dal Suo Messaggero”. Dio è severo nel castigo con chi si separa da Lui e dal Suo Messaggero! Assaggiate questo! I miscredenti avranno il castigo del fuoco! O credenti, quando incontrate gli infedeli in ordine di battaglia, non volgete loro le spalle. Chi quel giorno volgerà loro le spalle- eccetto il caso di stratagemma per meglio combattere o per raggiungere un altro gruppo- incorrerà nell’ira di Dio e il suo rifugio sarà l’inferno. Quale triste rifugio! Non voi li avete uccisi. Dio li ha uccisi» (VIII, 12-17). «O credenti, non sceglietevi per alleati ebrei e cristiani, sono alleati gli uni degli altri, e chi li sceglie come alleati è uno di loro. In verità Dio non ama il popolo degli ingiusti» (V, 51)”.

Allam cita poi alcuni passaggi della Sira, “la raccolta dei detti e dei fatti attribuiti a Maometto: «Il Profeta – le preghiere e la pace di Allah siano con Lui – dichiarò: “L’Ultimo Giorno non verrà finché tutti imusulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l’albero diranno:O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me- vieni e uccidilo; ma l’albero di Gharqad non lo dirà, perché è l’albero degli ebrei» (citato da al-Bukhari e da Muslim).

“Dopo la battaglia del Fossato nel 627 – aggiunge Magdi Allam – Maometto attaccò l’ultima tribù ebraica rimasta a Medina, i Banu Quraizah. Dopo un assedio di 25 giorni, si arresero. Alla fine tra i 600 e i 700 maschi furono uccisi, mentre le donne e i bambini furono fatti schiavi. Sul fatto che fu Maometto a decapitare gli ebrei, la Sira di Ibn Ishaq narra: «Poi (i Banu Quraiza) si arresero e l’inviato li rinchiuse a Medina nel quartiere della figlia di Harith, una donna dei Banu Najjar. Poi l’Inviato uscì nel mercato di Medina e vi scavò dei fossati. Poi li mandò a prendere e li decapitò in quei fossati. (…)Erano 600 o 700 in tutto, anche se alcuni parlano di 800 o 900. Mentre venivano portati a gruppi dall’Inviato chiedevano a Kaab che cosa ne sarebbe stato di loro. Rispose: “Non lo avete capito? Non vedete che lui continua a chiamare e nessuno torna indietro? Per Dio è morte!” Questo continuò fino a che non ebbe finito con tutti loro». “Siamo uno Stato libero – conclude Magdi Allam – dove è un diritto e un dovere degli italiani conoscere la verità. Null’altro che la verità. O non lo siamo più?”.

Invasione islamica. Bavaglio all’Europa

Da il Giornale 20 febbraio 2012 – Magdi Critiano Allam

 Aiuto! L’invasione islamica è ormai una realtà. A sfondare la fragilissima prima linea valoriale e identitaria dell’Occidente è stata la potente armata dei taglia-lingua nel nome di Allah.

Il loro obiettivo è mettere al bando, qui dentro casa nostra, nella nostra culla della libertà, nella nostra patria dei diritti fondamentali della persona, qualsiasi critica e meno che mai condanna dell’islam come religione. L’islamofobia verrà bandita per legge in tutti gli stati europei, in ottemperanza ad una prima risoluzione, la 16/18 approvata dalla Commissione per i diritti dell’uomo delle Nazioni Unite a Ginevra nel marzo 2011 che contempla la lotta contro l’intolleranza, gli stereotipi negativi, la stigmatizzazione della discriminazione, l’incitamento alla violenza, l’uso della violenza contro le persone sulla base della loro appartenenza religiosa. Per la verità quest’insieme è esattamente ciò che ritroviamo nel Corano e nella predicazione d’odio, di violenza e di morte delle moschee, ma incredibilmente si ritorcerebbe contro coloro che non vogliono sottomettersi all’islam, al Corano, a Maometto e alla sharia, la legge imposta dal loro Allah.

Ed è così che lo scorso 15 e 16 febbraio a Bruxelles, con il benestare dell’Unione Europea, l’Organizzazione per la Cooperazione Islamica (Oic), finanziata dai sauditi e il cui attuale segretario generale è il turco Ekmeleddin Ihsanoglu, ha organizzato un seminario per denunciare la campagna anti-islamica presente in alcuni mezzi di comunicazione di massa in Occidente, con l’obiettivo di indicare ai partecipanti, compresi i giornalisti occidentali non islamici ma conniventi con gli islamici, come contrapporsi alla campagna mediatica anti-islamica. Questa iniziativa avrebbe già il sostegno di Obama e della Clinton.

Come è possibile che finiremo per imporci da soli il bavaglio? I teorici del relativismo nostrano, compresi quelli che si annidano nella Chiesa, per screditare il valore delle radici giudaico-cristiane della civiltà laica e liberale dell’Occidente, spesso fanno riferimento al versetto tratto dal Vangelo secondo Luca (6,43-49) che recita «ogni albero si riconosce dal suo frutto». A loro avviso non sono tanto importanti le radici bensì i frutti dell’albero. Una tesi che mira a mettere aprioristicamente e acriticamente sullo stesso piano tutte le religioni, le culture e le ideologie a prescindere dai loro contenuti perché, secondo i relativisti, si può aderire ai valori non negoziabili della sacralità della vita, della dignità della persona e della libertà di scelta partendo da radici diverse e finendo per condividere lo stesso frutto. Bene, ai relativisti nostrani ricordiamo la prima parte del versetto evangelico che chiarisce: «Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono». A che cosa mi riferisco? Dopo la sbornia ideologica che ha trascinato in modo pressoché compatto l’Occidente succube del materialismo e ammalato di relativismo ad infervorarsi per la cosiddetta «Primavera araba», caldeggiando l’indizione delle elezioni con il coinvolgimento delle forze d’opposizione islamiche che sono esplicitamente ostili ai diritti fondamentali della persona e alla democrazia sostanziale, oggi tocchiamo con mano i frutti dell’operato degli islamici che si sono imposti al vertice del potere.

Ovunque sta montando una campagna di condanna a morte, con l’emissione di fatwe (responsi giuridici), contro i «nemici dell’islam». In Arabia Saudita rischia di essere giustiziato il giovane giornalista Hamza Kashghari per essersi rivolto su Twitter in modo colloquiale a Maometto nella ricorrenza del suo compleanno scrivendo: «Non pregherò per te. Non m’inchinerò davanti a te. Non ti bacerò la mano». In Egitto Naguib Sawiris, cristiano copto, magnate della comunicazione mondiale, è già stato portato in tribunale per avere pubblicato sempre su Twitter l’immagine di Topolino e Minnie, l’uno con la barba da salafita, l’altra con il velo integrale.

In Tunisia sono sotto processo sia il direttore della tv Nessma fondata da Tarak Ben Ammar sia il direttore del settimanale Attounisia per oltraggio all’islam. Tanti altri casi di censura alla libertà d’espressione, nel nome dell’islam, si susseguono anche in Marocco, Algeria, Libia, Yemen, Pakistan, Nigeria, Indonesia e Malaisia. Ma il problema vero è che ormai non possiamo più permetterci il lusso di dissertare a distanza delle sciagure altrui. Dobbiamo occuparci direttamente e immediatamente delle nostre sciagure di cui noi siamo i veri responsabili. Sveglia Occidente!

Venti di guerra nel Mediterraneo

Da ilGiornale, 19.2.2012 Gian Micalessin

Prima era un grande Risiko, ora sta per diventare guerra vera. Uno scontro dalle conseguenze incalcolabili per il controllo del Medio Oriente. Un conflitto su più fronti in cui la Siria rappresenta la nuova Danzica.

I segnali ci sono tutti. I più evidenti sono le scie dell’incrociatore Shahid Qandi e della nave d’appoggio Kharg, le due unità della marina militare iraniana che ieri hanno varcato lo stretto di Suez puntando verso il porto siriano di Tartus.

Dalla caduta dello Scià nel febbraio 1979 a oggi la marina militare iraniana s’è affacciata nel Mediterraneo solo due volte. La prima fu nel febbraio di un anno fa quando altre due navi varcarono Suez subito dopo caduta di Mubarak.

La nuova spedizione – decisa mentre Bashar Assad, il più stretto alleato di Teheran nella regione, sfida la comunità internazionale e reprime nel sangue la rivolta interna – rappresenta un avvertimento molto più serio. A farlo capire è il comandante della marina militare iraniana ammiraglio Habibollah Sayari ricordando che la missione, voluta dalla Suprema Guida Alì Khamenei, serve a «dimostrare le potenzialità del sacro regime della Repubblica islamica».

Il messaggio ha un doppio significato. Il primo è che, a differenza di quanto avvenuto in Libia, Teheran non permetterà all’Occidente e ai suoi alleati arabi di far cadere il regime di Bashar Assad. Il secondo è che un’eventuale attacco ai propri siti nucleari innescherà una rappresaglia a tutto campo capace d’incendiare Medioriente e Mediterraneo. La squadra navale transitata da Suez è insomma l’ultima, nuova pedina sulla scacchiera del grande Risiko per l’egemonia regionale.
Su quella scacchiera l’Iran schiera i missili di Hezbollah in Libano, le cellule di Hamas e della Jihad Islamica a Gaza, le milizie addestrate dai pasdaran in Iraq e le minoranze sciite pronte alla sollevazione in Arabia Saudita, Yemen e Bahrain. Uno schieramento ben strutturato grazie al quale Teheran può destabilizzare l’intero mondo arabo sunnita.

L’epicentro dello scontro è proprio Damasco. La Siria, governata da Bashar Assad e da una minoranza alawita assimilata alla fede sciita, rappresenta il segmento cruciale dell’asse iraniano. Grazie all’alleanza con Damasco, Teheran usa il Libano come base avanzata da cui tener sotto tiro Israele e competere per l’egemonia regionale.

Ma la Siria è anche il palcoscenico di uno scontro molto più articolato. Dietro ad Arabia Saudita, Qatar e Turchia, le grandi potenze sunnite nemiche di Bashar Assad, si muovono Stati Uniti, Francia ed Inghilterra.
Non a caso la Turchia si ritrova costretta in questi giorni a negoziare con Teheran e Damasco la liberazione di una quarantina di uomini della propria intelligence catturati dalle forze governativa siriane mentre fornivano aiuti e consulenza militare agli insorti. Non a caso mentre le navi iraniane fanno rotta verso il porto di Tartus nei cieli siriani volano, come ha ammesso ieri il Pentagono, gli aerei senza pilota americani.

Per le potenze occidentali far cadere Damasco significa togliere agli iraniani qualsiasi possibilità di rappresaglia in caso di blitz israeliano sui suoi siti nucleari. Dunque spezzare l’asse sciita in Siria equivale a mettere Teheran con le spalle al muro, costringendolo di fatto a negoziare sul nucleare.
Ma l’operazione è tutt’altro che semplice. In Siria a fianco e dietro l’alleato iraniano operano Russia e Cina. Il porto di Tartus, meta della squadra navale iraniana, è anche l’ultima base russa nel Mediterraneo. Lì attraccano i mercantili carichi di armi che garantiscono ricchi proventi all’industria militare russa. Da lì Mosca può continuare ad esercitare un ruolo di grande potenza in Medio Oriente.

L’Europa stia attenta al nazi-islamismo

Fiamma Nirenstein (Il Giornale del 5 febbraio 2012) scrive che il “mondo europeo e americano, dopo essersi dichiarato a iosa colpevole di non aver capito nulla, di non aver saputo prevedere le rivoluzioni arabe, adesso cerca una pericolosa scorciatoia: individuare nei Fratelli Musulmani, i grandi vincitori dello scuotimento, un interlocutore plausibile, aperto, perfino moderato. Basta frequentare le riunioni (recentemente per esempio quella delle commissioni estere convocata dall’UE) in cui si discutono i futuri rapporti con i nuovi poteri, per capire che il maggiore desiderio dei funzionari e dei politici addetti è avviare subito il previsto nuovo «piano Marshall» che dovrebbe aiutare lo sviluppo della democrazia. Non importa se dopo la mancata «primavera araba» aiuteremo la «primavera islamista».
A questo proposito va notato che i Fratelli Musulmani, fondati nel 1928 in Egitto, dopo il collasso dell’Impero Ottomano, sono contrari alla secolarizzazione dell’Islam, hanno come riferimento la Jihād e sono stati molto influenzati da Hag Amin Al Husny, muftì di Gerusalemme nel 1921 e, dopo la caduta dell’Impero Ottomano, alleato di Hitler. Nel 1941 lo troviamo a Berlino a sostenere la “soluzione finale” e a incitare i musulmani ad arruolarsi nelle file del Reich.
Dopo la guerra l’ex muftì nazista rinsaldò i rapporti con Sayyid Qutb e Haran al Bannah, rispettivamente teorico e fondatore dei Fratelli Mussulmani e pose sotto la sua ala protettiva Yasser Arafat.
Hag Amin Al Husny considerava l’Olocausto una macchinazione ebraica. Il negazionismo islamico ha dunque basi precise.
In Turchia il Main Kampf e i Protocolli dei Savi di Sion sono best seller, come in altri paesi islamici.
Su questa nazificazione dell’Islam nessuno riflette, anzi, si tende ad iscrivere i Fratelli Misulmani ad un orizzonte di sinistra terzomondista e di libertà dei popoli.
I Fratelli Musulmani, aggiunge Fiamma Nirenstein, “non si cambiano, non si comprano, non si dividono. E sono una forza abituata da una lunga tradizione a fare prudenti, cautissimi conti con amicizie e inimicizie alterne, ma alla fine sempre con l’occhio al califfato mondiale. È dal 1938 che lo ripetono col loro fondatore Hassan Al banna: «Allah è il nostro obiettivo, il Profeta il nostro leader, il Corano la nostra legge, la Jihad la nostra strada, morire sulla strada di Allah la nostra più grande speranza»”.
“Yussef Al Qaradawi – scrive ancora Fiamma Nirenstein – lo stesso clerico che ha cacciato i bloggers da piazza Tahrir, disse durante la guerra in Iraq che per i musulmani era un obbligo morale uccidere i cittadini americani. Hamas ha appena riaffermato la necessità religiosa di uccidere gli ebrei e combattere l’Occidente cristiano, e le promesse di stragi trovano conferma nell’appartenenza e varie branche della Fratellanza (come Al Qaeda) dei maggiori terroristi: Bin Laden, Ayman al Zawahiri, Khalid Sheich Muhammed, Anwar al Awlaki, lo sceicco Yassin, vengono tutti di là. Ma che fare dunque, si chiede l’Europa? Essi sono comunque ovunque, con sfumature nazionali diverse, i grandi vincitori della rivoluzione. Un’Internazionale grandiosa sostituirà il panarabismo dal Marocco al Golfo. La loro vittoria in Egitto, Fratelli e Salafiti al 75 per cento del parlamento, in Tunisia (con Ennahda, certo dal volto più umano, ma dal carattere integralista evidente), in Libia dove Al Qaeda è in agguato come anche in Yemen, pronti alla lotta in Giordania, ingaggiati in una disperata battaglia (insieme ad altre forze) contro il dittatore Assad in Siria, sapientemente ingaggiati in una larga diplomazia da parte della Turchia, essi hanno al momento senz’altro superato largamente l’asse sciita, costituita dall’Iran, la Siria, il Libano degli hezbollah. L’Arabia saudita naturalmente gioisce. Intanto Hamas, mentre cambia casa lasciando Damasco, segnala che il fronte sunnita della Fratellanza è quello prescelto”.
“I sensi di colpa, molto ben basati, per avere per decenni sostenuto dittatori che hanno schiacciato i popoli musulmani – conclude Fiamma Nirenstein – ci portano oggi verso il sostegno di una forza che farà indossare il velo alle donne, opprimerà le differenze sessuali e politiche, aggredirà la pace con Israele”.

Forse è ora di aprire gli occhi e di non agire sempre pensando solo agli interessi economici e finanziari. Dobbiamo pensare alle generazioni future, che non meritano un nuovo medioevo di intolleranza sotto il nazi-islamismo.

La vigliaccheria dei tedeschi che ci danno lezioni

 «A noi Schettino, a voi Auschwitz». Due righe, che riempiono la prima pagina de Il Giornale, e un editoriale, firmato dal direttore Alessandro Sallusti, in cui non si usano mezzi termini nei confronti del Der Spiegel. «Ci definisce un popolo di codardi perché “gli italiani non sono una razza” – si legge nell’occhiello – . Loro sì, invece, e lo hanno dimostrato assieme ad Hitler». Una dura replica all’articolo sul naufragio contenuto nell’ultimo numero del principale settimanale tedesco, che assume un peso maggiore nel giorno in cui il mondo intero ricorda le vittime dell’Olocausto. «Mano sul cuore – aveva scritto qualche giorno fa lo Spiegel -: qualcuno si è forse meravigliato del fatto che il capitano della Costa Concordia fosse italiano? Ci si può immaginare che a compiere una simile manovra, inclusa la fuga successiva, potesse essere un tedesco oppure, diciamo anche, un capitano di marina britannico?».

Un attacco che Sallusti ha mal digerito, criticando con determinazione l’ultimo pezzo della provocatoria rubrica firmata da Jan Fleischauer e puntando il dito contro la stessa copertina del settimanale tedesco dedicata al naufragio al Giglio. Nel suo editoriale, il direttore de Il Giornale parla di «aggressione all’Italia», che «sta passando di fatto sotto silenzio». «Che i tedeschi siano una razza superiore – scrive il numero uno del quotidiano milanese citando il pezzo di Fleischauer – lo abbiamo già letto nei discorsi di Hitler. Ricordarlo proprio oggi, nel giorno della memoria dell’Olocausto, quantomeno è di cattivo gusto». Sallusti ricorda poi i 4200 passeggeri salvati sulla Concordia e insieme le «centinaia di migliaia di ebrei» salvati in Italia all’epoca delle leggi razziali. Ricorda Giorgio Perlasca. «È vero – scrive – noi italiani siamo fatti un po’ così, propensi a non rispettare le leggi, sia quelle della navigazione, sia quelle razziali. I tedeschi invece sono più bravi. Li abbiamo visti all’opera nelle nostre città, obbedire agli ordini di sparare a donne e bambini, spesso alla schiena». E conclude: «Questi tedeschi sono ancora arroganti e pericolosi per l’Europa. Se Dio vuole non tuonano più i cannoni, ma l’arma della moneta non è meno pericolosa. Per questo non dobbiamo vergognarci. Noi avremmo pure uno Schettino, ma a loro Auschwitz non gliela toglierà nessuno».

Una formula per rovinare l’economia

Malgrado le lezioni del collasso del 2008, Wall Street continua a scommettere sul nostro futuro usando basi scientifiche inconsistenti.  E’ quanto afferma in un articolo su “Le Scienze” (Gennaio 2012) David H. Freedman, il quale aggiunge che “banche a società di investimenti stanno guidando l’economia globale verso un futuro che rischia fortemente di ripetere il passato”.

Per tutto il 2007, afferma Freedman,  i modelli di rischio hanno indicato che la probabilità che fallisse uno dei massimi istituti finanziari era minima e nel settembre del 2008 è fallita la Lehman Brothers.

I modelli econometrici, secondo Freedman, non hanno funzionato, ma non ci sono stati incentivi a diffidarne perché chi sta ai comandi e li adopera continua a fare un sacco di soldi.

“L’unica opzione reale è diffidare dei modelli, a prescindere da quanto sembrino buone le equazioni, un approccio che però si scontra con lo spirito e i costumi di Wall Street”.

Conflitti di interessi tra i soci delle agenzie

Da Il Sole 24 Ore – Domenica 15 gennaio 2012 – Dall’articolo Articolo di Marco Valsania

Chi controlla i censori del debito? Le agenzie di rating, per anni considerate alla stregua d’un Catone senza macchia, continuano a sfornare voti sull’altrui solidità creditizia. (…) Ma anche le regine del rating hanno perso lustro, travolte da giudizi sbagliati costati cari anzitutto su una montagna di derivati immobiliari durante la crisi finanziaria. (…) Sono fioccate critiche sull’indipendenza, l’imparzialità e i conflitti di interesse delle agenzie: dal ruolo di grandi azionisti – spesso finanziarie Usa o internazionali, a volte le stesse – fino all’inadeguata supervisione interna, o in generale, a modelli di business pay to play, che prevedono il pagamento da parte delle stesse società emittenti di titoli. E il loro tentativo di ritrovare l’autorevolezza perduta, anche quando si tratta dei rating delle nove nazioni europee declassate venerdi [13 gennaio 2012] da Standard & Poor’s, rimane più che mai una missione tuttora incompiuta. (…). Continua a leggere Conflitti di interessi tra i soci delle agenzie

Un mondialista alla guida dell’Italia

Da IL FOGLIO QUOTIDIANO – 24 novembre 2011

Mario Monti, un mondialista alla guida dell’Italia

Viaggio circostanziato, con alcune significative coincidenze, nel curriculum esemplare di un Preside tecnico

Questo articolo di Gianfranco Amato è stato pubblicato sul sito CulturaCattolica.it, curato da don Gabriele Mangiarotti Martedi 22 novembre 2011

Nel suo stellare curriculum il professor Mario Monti vanta anche studi esteri. Trascorre un anno presso la prestigiosa Università di Yale, dove diventa allievo di James Tobin, premio Nobel per l’Economia nel 1981. Non abbiamo prove di una sua affiliazione alla Skull and Bones, la celeberrima e potente società segreta di ispirazione mondialista che dal 1832 ha sede presso quel prestigioso ateneo statunitense. Abbiamo però la prova che il professore varesino rappresenti un autentico apostolo del pensiero mondialista. Tre inequivocabili circostanze lo attestano. Continua a leggere Un mondialista alla guida dell’Italia