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La pedofilia e l’internazionale del Male

“Di fronte a loro, un mondo altrettanto malato, corrotto nell’anima e nella psiche, per il quale sembra non possa esistere possibilità di redenzione o di consapevolezza”.

La frase è contenuta nel risvolto di copertina del romanzo di Marino Fracchioni: “Il vincitore è sempre solo” (ed. Etica – Torino).

Chi sono loro? I pedofili, una delle più ignobili, schifose, inumane incarnazioni del Male. Si, il Male, perché il Male non è una categoria astratta, ma una realtà concreta di comportamenti di non umani dalle sembianze umane; è un’eggregora mefitica costruita da non umani dalle sembianza umane.

Giordano Bruno, nel suo: “Il canto di Circe” (Bur), scrive che Circe invoca gli dei affinché le sia «possibile stringere in un vincolo gli spiriti che amministrano e dispensano le figure, perché questi, sia pure contro la loro volontà, facciano emergere nella piena luce e (via via che si ritrae la mentita sembianza di un uomo) da occulti che erano rendano finalmente visibili i lineamenti nascosti di un altro genere di esseri viventi». Circe: «Si allontanino, si allontanino – giacché anche noi lo abbiamo proibito – i volti umani dalle bestie».

Meri: «Mirabile a vedersi, Circe, mirabile a vedersi: di tanti uomini che prima potevamo vedere, solo tre o quattro sono rimasti tali, e questi corrono tremanti a mettersi al sicuro. Tutti gli altri, alcuni dei quali si rifugiano nelle caverne più vicine o volano verso i rami degli alberi o si gettano a precipizio nel mare vicino mentre altri di indole più domestica si avvicinano in fretta alla nostra dimora, vedo che sono stati trasformati in animali di diverso genere».

Circe: «Dì piuttosto che solo adesso hanno esplicato e reso visibili le forme che erano loro proprie».

Accanto ai pedofili agiscono i trafficanti di esseri umani, che procacciano bambine e bambini per la loro lussuria immonda di incarnazioni del Male.

Il Male si insinua nel mondo grazie all’indifferenza e ai colpevoli silenzi di una società malata, drogata e indotta all’acriticità da un pensiero unico massificante.

La storia della quale sono protagonisti Victor e Emi è, detta in estrema sintesi, quella di un “servo del silenzio”, un investigatore giustiziere e di una giornalista d’inchiesta, i quali svelano un traffico di bambine tra Torino e Ginevra, gestito da un’organizzazione che le induce alla prostituzione per soddisfare le voglie immonde di non umani, facoltosi ma zombie psicologici.

Il romanzo, una spy story in piena regola, con quel tanto di sano erotismo che contrasta con l’immonda lussuria degli zombie psicologici e con un’affascinante descrizione dei metodi e degli strumenti di indagine, è, in realtà, il resoconto romanzato di un’indagine vera. Veri sono anche i personaggi, come Alberto o come Pilon.

Victor e Ramon, anch’essi veri, sono il capo e il vicecapo della “squadra fantasma” dei romanzi: “I servi del silenzio” e “I servi del silenzio – Parsifal”, che raccontano le imprese, anche in questo caso a sfondo reale, di agenti dell’intelligence spagnola che agiscono, con competenza, determinazione e rapidità, per poi sparire nel nulla.

Personaggio nuovo e interessante è la giornalista Emi, che dalla cronaca noiosa di Torino, per quanto vissuta con passione e professionalità, passa in pochi giorni al giornalismo d’inchiesta, travolta da Victor e dalla sua squadra, che la coinvolgono in una caccia ai pedofili che si svolge tra la triste Torino di una borghesia debosciata e l’ovattata Ginevra dai mille volti, molti dei quali oscuri.

La storia del romanzo, alla cui base sta una realtà datata, rimbalza nell’attualità non solo per i numerosi scandali relativi alla pedofilia che occupano le cronache di ogni giorno, ma anche per un libro denuncia di Emidio Novi: “La riscossa populista”, che pone l’attenzione del lettore su scenari inquietanti, nei quali è ipotizzata la presenza di un’internazionale della pedofilia, ossia un’internazionale del Male, che organizza party pizza e party hot dog esclusivi, dove per pizza si intende una bambina e per hot dog un bambino.

Enrico Novi, senatore e un giornalista, recentemente scomparso, travolto, sorprendentemente, nel suo paese natale, in Puglia, da un camion dello sporco in retromarcia, presenta panorami inquietanti e ben documentati, dove il Male è all’opera e, tuttavia, non giunge a conclusioni pessimistiche.

Redimere gli zombie psicologici incarnazione del male è impresa impossibile, ma combattere una battaglia per ridefinire valori e confini è un dovere che può indurre un radicale cambiamento.

Del resto, anche Enrica Maria Immacolata, in acronimo Emi, per quanto censurata da un direttore servo di un mondo malato e prono ai dettami degli zombie psicologici, ha in serbo una sorpresa: un asso nella manica regalatogli da Victor.

Forse, chi lo sa, Marino Fracchioni, in un prossimo romanzo-testimonianza, rimetterà Emi all’opera, per combattere gli zombie psicologici, incarnazioni del Male.

Il vincitore è davvero solo? Forse no. Il risveglio delle coscienze è in atto.

Silvano Danesi

 

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In Peccato Originale un’ombra sul pontificato di Paolo VI

In “Peccato Originale”[1], l’ultimo saggio di Gianluigi Nuzzi (Chiarelettere) un’ombra pesante grava sul pontificato di Paolo VI e sullo stesso pontefice.

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Nel libro delle tre S (sangue, soldi, sesso), Nuzzi analizza i fantasmi dello Ior e il sistema di potere costruito dall’arcivescovo Casimir Marcinkus e giunto intatto fino ai giorni nostri, nonostante i numerosi e falliti tentativi di fare chiarezza.

Nuzzi, riprendendo il suo “Vaticano S.p.A.”, ricorda come il sodale di Marcinkus, monsignor Donato de Bonis, avesse costruito uno “Ior paralleo”, “un articolato sistema di decine e decine di depositi, alcuni utilizzati anche, anni dopo, per riciclare la più grande tangente mai scoperta nella storia repubblicana: la maxitangente Enimont, il capitolo più oscuro di Tangentopoli”.

Peccato Originale

L’intreccio di potere che aveva la sua testa in Vaticano, comprendeva, scrive Nuzzi, “uomini vicini a Sindona e alla mafia americana”,

E qui comincia a comparire l’ombra su Paolo VI, quando Nuzzi cita il “cardinale Sergio Guerri […] che anni prima, su indicazione di Paolo VI, aveva affidato a Sindona l’incarico di smobilizzare le partecipazioni della Santa sede in diverse società italiane”.

I rapporti di Giovanni Battista Montini con Sindona, erano, del resto, di vecchia data. “Sindona – scrivono in proposito Giacomo Galeazzi e Ferruccio Pinotti – […] aveva reperito i terreni  e i fondi per l’edificazione della Casa della Madonnina, divenendo di fatto «il consulente finanziario» di quella curia milanese che si sposta poi in blocco a Roma con l’elezione di Montini a papa, nel 1963. Tanto che negli ambienti vaticani quella del finanziere di Patti era stata ribattezzata «la mafia milanese», a causa delle amicizie poco raccomandabili del consulente esterno Sindona”. [2]

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Sempre Giacomo Galeazzi e Ferruccio Pinotti scrivono: “Sono documentati, tra l’altro, i rapporti del cardinale Montini e i servizi segreti americani, ai quali restò sempre legato, in un rapporto di reciproca collaborazione. William Blum, ex funzionario del Dipartimento di Stato, in un libro pubblicato anche in Italia nel 2003, rivela, parlando delle attività della Cia: «Ci fu il caso del cardinale Giovanni Battista Montini, un altro beneficiario della munificenza della Cia. I pagamenti a lui effettuati rivelano un po’ delle convinzioni meccanicistiche dell’Agenzia. […] Il cardinale, da monsignore, era stato coinvolto nell’operazione vaticana per contrabbandare i nazisti verso la libertà dopo la Seconda guerra mondiale. Aveva una lunga storia di legami con i servizi segreti occidentali. Nel 1963 divenne Paolo VI”. [3]

“Michele Sindona – scrive Nuzzi – non era solo socio e consulente dello Ior. La squadra dello spregiudicato finanziere siciliano, uomo di fiducia di mafiosi del calibro di Bontate, dei Genovese, insomma del gotha criminale italo americano, era entrata nella banca vaticana a piene mani e la usava per ogni necessità…”.

La rete di Marcinkus, oltre a Sindona, si allargava a Calvi, ai rapporti con banche varie dai documenti delle quali emergono (ed ecco che l’ombra di fa pesante) “alcuni bonifici indicanti il pontefice Paolo VI nei fogli di cassa dello Ior”.

Emergono contatti della banca del vaticano, attraverso la fitta rete del Banco Ambrosiano, con i grandi cartelli del narcotraffico latinoamericano.

“A questo punto – scrive Nuzzi – diventa fondamentale capire perché Paolo VI viene indicato in quegli assegni: sono operazioni diverse o c’è qualche collegamento?”.

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“La contiguità, che questi documenti adombrano – scrive Nuzzi – tra i pontefici (Paolo VI prima e Giovanni Paolo II) e i peggiori vertici dello Ior, appunto Marcinkus  e De Bonis, impone una rilettura unitaria dei rapporti tra la banca degli scandali e l’appartamento pontificio”.

“Emerge – continua Nuzzi – un’ultima considerazione che oggi bisogna sottolineare: perde definitivamente di credibilità sia la comune vulgata che vuole Marcinkus raggirato da Sindona e Calvi, sia, soprattutto, quella che cerca di rappresentare questo sistema di potere come un corpo estraneo al pontificato di Paolo VI e a quello di Giovanni Paolo II”.

Calvi, Sindona, P2, mafie varie, storie di riciclaggio, sembrano entrare come in un puzzle che si compone via via a mostrare un quadro inquietante, dipinto a più mani entro le Mura leonine. Un quadro di corruzione pluridecennale che ha infettato l’Italia.

Difficile credere che negli appartamenti pontifici nulla si sapesse e, allora, le domande di Nuzzi pretendono risposte chiare. A chiare lettere.

Rimane un grande dubbio. Il fine intellettuale Joseph Ratzinger, divenuto papa con il nome di Benedetto XVI è stato costretto a gettare la spugna. Dopo un avvio che sembrava promettente, papa Francesco ha pensato bene di dedicarsi al mondialismo ecologico e alla difesa del pauperismo mondiale. Il Gattopardo ha vinto ancora?

Silvano Danesi

[1] Gianluigi Nuzzi, Peccato Originale, Chiarelettere

[2] Giacomo Galeazzi e Ferruccio Pinotti, Vaticano Massone, Pickwick

[3] William Blum, Il libro nero degli Stati Unitato in Giacomo Galeazzi e Ferruccio Pinotti, Vaticano Massone, Pickwick

Am Groner Freiband n°5

Am Groner“Donne da redimere e che redimono. E’ questo il primo appunto che mi sono scritto nel leggere «Am Groner Freiband n° 5» di Michael Sfaradi. Chi avesse avuto modo di leggere «I lunghi giorni della Arctic Sea» potrebbe condividere questa mia osservazione.

In Arctic Sea il protagonista incontra una donna problematica, ormai incapace di amare, perché convinta dalle sue traumatiche esperienze di non essere degna d’amore e la redime con un inaspettato gesto di rispetto. Da quel gesto di redenzione sarà a sua volta redento, scoprendo la relazione d’amore con il femminile.

In «Am Groner Freiband n°5» la redenta è Rivka, l’istruttrice di ferro delle reclute israeliane, alla quale il trauma della morte del marito ha inibito la femminilità. Nel rapporto con Ruben, il protagonista del romanzo di Sfaradi, Rivka riscoprirà il suo essere donna, sbloccando anche la sua maternità. L’inconsapevole redentore, nell’apprendere le motivazioni profonde della dinamica redentiva, sarà a sua volta redento, scoprendo finalmente l’amore per il femminile.

Sfaradi, nei due romanzi, affronta il tema dell’eterno femminino, del suo problematico rapporto con un maschile incapace di comprenderlo, ma redimente e redento quando si concede all’incontro.

Rosy Domini, con l’immagine di copertina, dà forza alle mie impressioni. La Gänseliesel, la statua della guardiana delle oche della fontana di Göttingen, è complesso simbolico che sostiene iconograficamente quanto con lo scritto ci trasferisce Sfaradi e ci introduce all’eterno femminino come sedes sapientiae.

Il secondo appunto riguarda Israele, patria in quanto luogo dei padri: non territorio, ma itinerario.

Ruben sogna una patria dove, come scrive Sfaradi, “l’unico sporco ebreo è un ebreo che non si lava”; è una patria rifugio, dove non c’è la pressione del secolare disprezzo voluto dai cristiani per il popolo deicida e dagli islamici per chi ha tradito il messaggio divino. Israele è la terra degli ebrei, dove gli ebrei si riconoscono e dove non c’è chi li guarda di traverso o li considera dei subumani. Tuttavia la terra sognata si rivela necessariamente un sogno.

Ruben sente il richiamo della diaspora, che si materializza in un luogo catartico, la Germania di Göttingen, dove due Sefer Torah, miracolosamente salvi, rendono evidente la verità insita nel detto: «Nulla accade a caso», ma anche la realtà cogente di quel fenomeno che Jung definisce sincronicità e che spesso è banalizzato, per insipienza, nel concetto di coincidenza. I due Sefer Torah sono i testimoni della diaspora che è Israele come itinerario di un popolo iniziatico, depositario e custode di antiche sapienzialità, la cui origine si perde nella notte dei tempi e che sono «radici».

Il destino di un popolo iniziatico non è e non può essere la stanzialità, ma il cammino, in quanto la «terra promessa» non è una terra, ma la Terra.

Il tema di un popolo iniziatico non è il dominio, ma la semina.

E così i Sefer Torah riemergono dalle rovine, come i geroglifici, il  Per Em Ra, l’’Enuma Elish, le Triadi bardiche e tanti altri tasselli tradizionali, i quali, risalendo, come fa il salmone, verso la sorgente, riconducono alla Tradizione.

Ruben, cercando la diaspora trova se stesso e si orienta; ritrova il senso di un cammino.

La diaspora è panspermia, è semina costante; è cammino senza sosta.

Il destino di un popolo iniziatico non è facile, anzi: è difficile e doloroso, ma è fecondo”.

Exempla, un libro di testi massonici

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Exempla è una raccolta di testi relativi a interventi svolti in ambito massonico in occasioni diverse e a diversi gradi di approfondimento.

I testi, scritti per eventi specifici, anche se mantengono una loro autonomia, sono stati coordinati al fine di offrire il più possibile l’idea, anche a un pubblico profano, di quali siano gli argomenti trattati nelle riunioni della Massoneria tradizionale.

Exempla è acquistabile su:

http://ilmiolibro.kataweb.it/area-privata/libro/exempla_1172543/

 

Il sindacato antagonista

Le vicende sindacali dell’autunno 2010, segnate da un aspro confronto tra la Fiom e la Fiat e da una divisione netta tra la Cgil e la Cisl e la Uil, ripropongono pienamente la questione dell’esistenza di due concezioni alternative e non riconducibili a unità del ruolo del sindacato. Da un lato ci sono Cisl e Uil, che propongono un sindacato riformista e, dall’altro, una parte consistente della Cgil, con in testa i metalmeccanici organizzati nella Fiom, che propone un sindacato antagonista.

Brescia è stata ed è un laboratorio, in continuo fermento, dell’idea di  sindacato antagonista, che nella Camera del lavoro ha sempre avuto non solo grande spazio, ma spesso la maggioranza dei consensi.

Anche nel 2010, la minoranza nazionale della Cgil a Brescia è maggioranza e la Camera del lavoro bresciana è uno dei punti di riferimento nazionali dell’area: “La Cgil che vogliamo”.

Ragionare su quanto accade ed è accaduto, si elabora e si è elaborato a Brescia non è pertanto un esercizio accademico di storia o di sociologia sindacale, ma un modo per capire dove va il sindacato italiano e quali intoppi al suo cammino possa ancora costituire una concezione antagonista, dura a morire e legata ai vecchi schemi della lotta di classe.

Per dare un contributo a questa comprensione Silvano Danesi ripropone una riflessione, datata 1993, ma attualissima, che riporta i dati essenziali di uno degli scontri più significativi della stagione sindacale degli anni Ottanta, in un contesto dove hanno operato sindacalisti che hanno segnato nella Fiom e nella Cgil una linea di confine che ancora oggi è difficilmente superabile, come i fatti dimostrano.

Il testo è una sorta di “quaderno degli appunti” di un giornalista che a quel tempo era impegnato quotidianamente nella cronaca sindacale. Un “quaderno degli appunti” che può essere strumento di lavoro per chi, indagando quegli avvenimenti, può trarre motivi di riflessione sull’attualità e di comprensione dell’irriducibile distanza tra la Cgil e le altre single sindacali storiche: Cisl e Uil.

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Processo ai massoni

Processo ai Massoni

Il 20 marzo 1995, data equinoziale, il Gran Maestro Giulio Mazzon, 33° Grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato, legge la balaustra di insediamento della Gran Loggia della Comunione dei Liberi Muratori. E’ l’ultimo atto di una lunga e complessa vicenda, iniziata nel 1977, che lo vede protagonista di una serie di avvenimenti tesi a salvaguardare la Massoneria italiana dalle bufere che l’hanno investita negli anni Ottanta e Novanta, con una evidente fedeltà, per chi ha occhi per vedere, orecchie per intendere e mente scevra da pregiudizi o da vizi di potere, al Grande Oriente d’Italia. Il saggio, ricco di documenti, raccoglie la relazione e le testimonianze del convegno: “Giulio Mazzon, l’uomo, l’amico, il maestro”, tenutosi a Brescia sabato 12 marzo 2011, all’Hotel AC, organizzato e promosso dall’Associazione Culturale Minerva Onlus di Marone (Brescia) e dell’Associazione Amici di Giulio.

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Tu sei Pietra

L’interrogativo di fondo del libro Tu sei Pietra di Silvano Danesi riguarda un’antichissima tradizione iniziatica, che ha le sue radici alle origini della storia dell’uomo e che pare essere giunta fino a noi, anche se criptata; una tradizione che a volte è sembrata essere inghiottita nei periodi oscuri dell’intolleranza e dell’ignoranza, contrabbandate per fede, o cancellata dalle orde dei barbari invasori o, ancora, dispersa ai quattro angoli del mondo. E’ possibile trovarne le tracce? E’ possibile, seguendo queste tracce, ricomporre l’unità perduta? E’ possibile, in altri termini, che l’Antica Religione della Dea Madre (dominante nella coscienza collettiva dell’Europa del Neolitico) e del Dio Cornuto (il Kernunnos, presente nell’Età del Bronzo e le cui radici risalgono al Paleolitico), sia giunta sino a noi, viva e praticata, sotto mentite spoglie, per l’opera di un nucleo di iniziati che l’ha trasmessa attraverso una catena iniziatica ininterrotta? Proviamo a pensare che sia possibile e avviamoci sui sentieri della Cerca, dove incontreremo i Baschi, i Druidi, i Templari, il Priorato di Sion, grandi personaggi della storia, come Abelardo e Bernardo di Chiaravalle… e molto altro ancora.

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La via druidica

Il druidismo è una via filosofica fondata sulla libertà come valore essenziale; è una via spirituale e conseguentemente libera per accedere alla Conoscenza.

Nel druidismo non ci sono dogmi e verità rivelate; c’è la ricerca in merito alle leggi della Natura, ai comportamenti degli uomini, alla Sapienza del divino (Sophia), intesa come punto limite della Conoscenza.

I libri di Silvano Danesi, “La via druidica” (1° e 2° volume), sono un’interessante opportunità per accostarsi da vicino all’antica sapienzialità dei Druidi e per ritrovare le radici d’Europa.

“La via druidica” presenta i principi essenziali della tradizione druidica, recuperando una filosofia di vita attuale e idonea ad accompagnare l’essere umano sulla via che lo porta a conoscere se stesso e, conseguentemente, il significato del proprio vivere e del proprio agire.

La via druidica 2° volume

Dal deposito sapienziale antico il moderno druidismo, senza scostarsi dai principi fondamentali, secondo l’autore, si può distillare ciò che di essenziale la tradizione ci tramanda e da questo distillato può trarre indicazioni moderne valide per il cammino attuale dell’essere umano.

Una considerazione va fatta in merito ai linguaggi enigmatici degli antichi, che una malintesa interpretazione vorrebbe adottati per occultare conoscenze riservate a pochi. La trasmissione di una conoscenza con il linguaggio logico sequenziale al quale siamo abituati la contestualizza e la data, necessariamente, incardinandola nella forma mentis del tempo.

Il linguaggio enigmatico, simbolico, archetipico per sua natura va interpretato, ovvero contiene un nucleo essenziale di conoscenza che deve essere decodificato. Chi decodifica lo fa con gli strumenti del suo tempo e, conseguentemente, resuscita e attualizza quell’antico nucleo di conoscenza rendendolo idoneo, efficiente ed efficace nell’attualità.

Distillare simboli, archetipi, enigmi della tradizione druidica, evidenziandone il nucleo essenziale, svolgere il codice attualizzandolo è un’opportunità che possiamo cogliere e un lavoro che possiamo intraprendere.

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