BASCHI E BERBERI NELLE ISOLE CANARIE

Da: Silvano Danesi, “Tu sei Pietra”, Ilmiolibro.it

Garaldea, secondo le ricerche di Federico Krutwig Sagredo, è, come scrive Roberto Gremmo, “un misterioso ed unitario insieme culturale che, in un lontanissimo passato, ha “umanizzato” l’Halbinseleuropa, l’Europa delle penisole. Laddove, specialmente nei dialetti, si trovano tracce assimilabili al basco, “si può star certi che ci si sta avvicinando alla mitica Garaldea”. [1]

Gremmo, alla cui cortesia devo queste indicazioni, cita inoltre il professor Dominik Wolfer dell’Università di Graz, il quale “per parte sua aveva già sottolineato come, dalle Canarie ai Paesi Baschi passando per l’Europa montana che si affaccia sulle penisole, i linguaggi che hanno accompagnato la nascita della cultura (uomo di Cromagnon e Neolitico) hanno tutti in comune un substrato definibile come atlanto-libico”. [2]

Nel suo Garaldea, Federico Krutwig Sagredo, come abbiamo già accennato, si occupa della “regione della montagna” o “regione delle alture”, ossia di quell’insieme culturale unitario che nel lontanissimo passato ha ripopolato l’Halbinseleuropa, l’Europa delle penisole. Un insieme culturale che si è espanso lungo linee che oggi possiamo rintracciare seguendo antichi luoghi megalitici e che seguono, sorprendentemente, le linee dei paralleli terrestri. Sono linee di penetrazione che da Ovest si spingono verso Est e che hanno lasciato le loro tracce linguistiche nei dialetti e nei toponimi. Nel capitolo di Garaldea dedicato al dottor Dominik Woelfel, studioso delle possibili parentele linguistiche tra il basco e le lingue delle penisole europee che si affacciano sul Mediterraneo, nonché con il libico antico e con la lingua delle popolazioni antiche delle Canarie, Sagredo scrive che “pare probabile sia esistito nella penisola iberica uno «strato» bascoide abbastanza esteso, preceltico e preiberico” e focalizza l’attenzione sulla teoria di Woelfel laddove lo studioso parla di un substrato libico-basco nelle lingue italiche e greche e nelle lingue celtiche e germaniche.[3]

Woelfel, nel capitolo su : “Lo strato linguistico atlanto-libico e il Megalitico”, fornisce una nuova spiegazione delle coincidenze linguistiche italo-celtico-germanica e sposta l’attenzione sulla relazione tra la lingua atlanto-libica e l’Europa pre-indoeuropea, affermando che il substrato linguistico si limita all’Europa delle Penisole, la Halbinsel-Europa.

Woelfel stabilisce inoltre che tra lo strato linguistico atlanto-libico e la cultura megalitica esisterebbe una coincidenza nello spazio e nel tempo, cosicché l’atlanto-libico può essere considerato come la lingua dei megalitici. Gli indoeuropei occidentali presero i loro termini per gli animali, le piante e l’agricoltura dalla lingua atlanto-libica. Inoltre gli “indoeuropei occidentali – scrive Sagredo riassumendo il pensiero di Woelfel – presero i termini corrispondenti alla religione e alla vita superiore politica degli atlanto-libici. I popoli megalitici erano popoli produttori di cultura (Kulturellgebende) e formarono parte della casta sociale superiore”. [4]

Le teorie di Woelfel, scrive Sagredo, sono state confermate da studi antropologici e dall’ematologia.

Riguardo alla Isole Canarie, leggende antiche irlandesi, che parlano di navigazioni sull’Atlantico, rappresentano una traccia di sicuro interesse. Una traccia che viene confermata da parentele linguistiche tra il popolo guanche delle Canarie e quello basco.

La leggenda vuole che Brendano, alla testa di un gruppo di monaci, sia andato alla ricerca del Paradiso Terrestre, situato su un’isola meravigliosa, facendo vari incontri con creature fantastiche. La Navigatio è composta da ventinove paragrafi e racconta il viaggio che San Brendano compì nell’Oceano Atlantico, con sessanta compagni, alla ricerca della mitica “Isola dei Beati” (detta anche Tír na nÓg), la cui esistenza gli viene svelata da un suo ospite, l’abate Barindo. Secondo alcuni autori San Brendano avrebbe raggiunto le Isole Fær Øer, l’Islanda o addirittura l’America. Si dice che abbia scoperto le isole Canarie, dove è venerato con il nome di San Borondòn.

Chi erano i Guanche? Cromagnon discendenti da quelli di Francia o da popoli fratelli, secondo José Luis Conceptión,[5] probabilmente arrivati nelle isole dalla zona berbera o dall’antica Libia. Molti vocaboli guanches sono simili o uguali all’antico berbero. Simili, tra popolazioni berbere e Guanches, sono le lavorazioni e molte usanze.   Dello stesso parere di José Luis Conceptión è anche José Carlos Cabrera Pérez, il quale si occupa dell’isola di Fuerteventura, il cui primo nome sarebbe stato Maoh o Mahoh, dal significato di isola, per cui i Mahoreros sono gli isolani. Maho è gente del paese, gente della terra ed ha una probabile radice condivisa con Maori, di origine punica, che relazionerebbe i Maouharim con “gli Occidentali”. Erodoto cita i Maxyes sul litorale tunisino. Il termine Imazighen, derivato dalla radice MZG o MSK, rappresenta la forma nella quale il popolo berbero si autonominava (José Carlos Cabrera Pérez). Fuerteventura era anche chiamata Erbania, forse da Arbani, il luogo della muraglia, dal radicale libico bani, che significa muraglia. Una muraglia, infatti, divideva l’isola in due regni.

Federico Krutwig[6] scrive che i primi naviganti che approdarono alle isole Canarie trovarono due tipi razziali ben distinti: “Il primo di questi alto e rosso, corrispondeva a quello che nell’antropologia moderna si chiama «dálico» (o atlanto-dálico) e che si considera il dicendente più diretto della razza Cromagnon; il secondo, molto più piccolo, più nuovo, che l’antropologia moderna caratterizza come razza mediterranea”.[7]

Secondo alcuni studiosi le isole Canarie sarebbero state separate culturalmente nell’Africa continentale prima dell’Età dei Metalli. Krutwig scrive che tra l’ottavo e il quarto millennio a.C. popolarono l’Africa del Nord popolazioni Cromagnon e che tra il quarto e il terzo millennio a.C. emigrò in Africa del Nord una popolazione proto-mediterranea di pastori di buoi che diedero vita alla cultura Capsiense. Krutwig esclude un rapporto tra Guanche e Berberi, la cui lingua ne indicherebbe la provenienza dall’Asia Minore. Nessuna parentela nemmeno tra berbero e basco. Diversamente Krutwig ritiene che il popolo dei Libui, che diede il nome alla Libia, venga da Occidente, ma è cauto nell’avallare le teorie di Woelfel che scrive di un sostrato libico-vasco delle lingue italiche e greca e di una lingua atlanto-libica che coinciderebbe, nello spazio e nel tempo, con la cultura megalitica. Rimane, invece, per Krutwig evidente una marcata parentela linguistica tra la lingua canaria e quella basca.

“Al momento della conquista [XV secolo], le isole Canarie – scrive José Luis Conceptión – erano governate da uno o da vari re o principi in ogni isola. In Gran Canaria, il re era chiamato Guanartme e a Tenerife Mencey. I re avevano i loro consiglieri o capitani. In Tenerife c’erano tre strati sociali: Achimenceyes, rango dopo il Mencey, Achiciquitza, nobili, e Achicaxua, agricoltori. Il capitano era chiamato Sigoñe. Nella Gran Canaria chiamavano Faycán il gran sacerdote, Guaire o Gaire il consigliere o capitano e Fayacán il giudice. Al momento di essere nominati mencey facevano il seguente giuramento: «Agoñe yacoron yñatsahaña chacoñamet», giuro sul sangue di chi mi ha fatto grande. La cerimonia si celebrava nel «togoror» [piazza circolare costruita in pietra]”. [8]

Louis Charpentier scrive di capi distretto o capi isole, guanarteme, poi detti re, circondati da nobili guayre e il titolo di guayre, “se era concesso ad alcune famiglie, non poteva tuttavia non essere accompagnato da alcune virtù, tra cui il rispetto delle donne e l’obbligo di non pronunciare mai davanti a loro parole volgari”. [9]

Interessante notare che gani o gainera, che si contrae in gaira, in basco è cima, gaithen è superiore, significati che ben si attagliano a quello di capitano. Guan herri in basco, secondo Charpentier, indicherebbe il paese dei guanche e guanci ricorderebbe da vicino il gizon basco, con il significato di uomo.

Riguardo ai Faycáns, Louis Charpentier, scrive: “forse non dei capi nel senso letterale del termine, ma delle specie di consiglieri superiori provvisti di tutte le competenze e i privilegi che furono quelli dei druidi gallici…. D’altronde, un certo numero di leggende e di tradizioni concordano sul fatto che fosse proprio così e che i druidi gallici fossero in origine dei saggi dell’antico ceppo Cro-Magnon”.[10]

Qualsiasi uomo poteva arrivare ad essere nobile. L’aspirante doveva avere meriti personali e non doveva aver tenuto comportamenti scorretti; gli venivano poste domande e se non venivano evidenziati comportamenti scorretti o disonesti veniva dichiarato nobile, ma se si era comportato male gli tagliavano i capelli e lo convertivano per sempre in villano, dandogli il soprannome di tosato.

L’organizzazione sociale era basata sulla parentela e l’unità elementare della società era la famiglia estesa, ovvero la tribù. A Lanzarote era praticata la poliandria (tre mariti), mentre a Fuerteventura era praticato il matrimonio poligamico. A Lanzarote vigeva un sistema di filiazione matrilineare e l’avunculato (il parente più autorevole e di riferimento è il fratello della madre). [11]

Louis Charpentier scrive che i Guanches “adoravano un essere onnipotente ed eterno” e parla di un “culto sulle montagne, celebrato da delle specie di druidesse, le magnades, che si vestivano con pelli bianche e sarebbero state modelli di virtù. Sull’isola di Palma innalzarono a quest’essere supremo delle piramidi di pietra e celebravano un culto accompagnato a danze”. [12]

“Secondo Abreu Galindo y Espinosa – ci riferisce José Luis Conceptión – gli aborigeni credevano in un essere supremo che invocavano con il suo nome: «Aborac», «Acoran» e altri. Alcuni cronisti hanno anche detto che credevano in demoni, come guayota, che viveva nel vulcano di Teide (echeide o inferno); … Tutte le tribù avevano loro sacerdoti e templi o luoghi di preghiera. In Gran Canaria c’erano una specie di monache (harimaguadas) il cui unico ufficio era la preghiera e l’insegnamento. I loro conventi si chiamavano tamogantes e il tempio almogaren. …. A Tenerife separavano gli agnelli dalle pecore per, congiuntamente con i loro belati e le orazioni, implorare Dio perché piovesse. Inoltre c’erano altri riti similari nel resto delle isole e facevano offerte di cibo a Dio”. [13] J.Abreu Galindo colloca il dio supremo dei Guanches nel cielo e scrive. “adoraban a un Dios, levantando las manas al cielo”. [14] José Juan Jménez González, in riferimento a Gran Canaria, parla di un dio chiamato Alcorán, solo, eterno, onnipotente signore del cielo e della terra, creatore e costruttore di tutto.

Gli studiosi scrivono di un culto astrale e di un culto solare, di un culto degli antenati, per i quali esistevano luoghi cultuali specifici chiamati efequenes: piazze circondate da una sorta di muro a spirale. Al centro della piazza si adorava un idolo di forma umana, del quale non sono note le caratteristiche. I Guanches contavano l’anno per dodici mesi, i mesi con la luna, i giorni con il sole, la settimana con 7 soli. L’anno, Achano, cominciava con l’equinozio di primavera e, con il sole in Cancro, il 21 di giugno, si teneva una grande festa di nove giorni.

“Avevano quelli di Lanzarote e di Fuerteventura dei luoghi o cuebas come templi, ove, secondo Juan de Leberriel, facevano sacrifici e presagi e dove, mangiando certe cose che erano dei defunti, le bruciavano apprendendo dal fumo e dicevano che erano gli spiriti degli antenati che andavano per i mari e venivano a dare notizie quando erano chiamati e gli isolani erano felici e dicevano che venivano in forma di annunci alle orecchie dal mare nei giorni più importanti dell’anno e facevano grandi feste e vegliavano fino al mattino nel giorno del maggiore fulgore del sole nel segno del Cancro che per noi corrisponde al giorno di San Giovanni Battista”.[15]

Le fonti storiche parlano di donne dotate di grande prestigio e influenza sociale, politica e religiosa. “C’erano in quest’isola [Fuerteventura] due donne – scrive J.Abreu Galindo – che parlavano con il demonio; una si chiamava Tibiabín e l’altra Tamonante. Si diceva che fossero madre e figlia”. [16]

“Una – scrive Cabrera Peréz – si chiamava Tamonante e governava la giustizia e decideva le controversie e le dispute che nascevano tra i duchi e i principi dell’isola e in tutte le cose il suo governo era superiore”. [17]

Le due donne, Tibabin e Tamonante, avevano un ruolo religioso, specialmente in primavera. Siamo in presenza delle “donne fatali” di grande sapienza, “che per rivelazione dei demoni o per giudizio naturale – scrive Torriani – profetizzavano varie cose che poi risultavano vere, per le quali erano considerate come una dea e venerate; e queste governavano le cose delle cerimonie e i riti, come sacerdotesse”.[18] ”Incaricate della direzione delle cerimonie religiose, intervenivano decisamente nei riti propiziatori della pioggia e a entrare in contatto con gli antenati grazie alle loro facoltà profetiche e di divinazione del futuro, godendo di un grande prestigio e venerazione da tutta la comunità aborigena”. [19]

Tra i Berberi troviamo gli agurrâm dotati di facoltà taumaturgiche, funzioni sacerdotali e di predizione del futuro. “Solevano essere donne, conosciute come tagurramt o tigurramín, coloro che possedevano un potere magico e quelle dotate del privilegio della divinazione. Secondo lo storico Procopio: «I mauros [popolazione proto berbera] nel loro timore consultano le donne divinatrici. Tra di loro non è consentito agli uomini di fare vaticini; perciò certe donne, dopo alcune cerimonie, ricevono l’ispirazione e scoprono il futuro”. [20]

“A quanto pare ci si troverebbe di fronte a uno dei lignaggi “santi” o religiosi, giustificato dal rapporto di parentela tra le due donne, molto comuni in una società segmentata, in particolare tra le tribù berbere del Nord Africa. Assumono funzioni mediatrici in un contesto di conflittualità permanente tra fazioni tribali. Il rispetto delle loro decisioni viene rafforzato per il ruolo di intermediazione tra gli uomini e le divinità, da cui deriva la denominazione di “fatidiche”, così come il loro ruolo di leader nel rituale. A lungo termine, la missione dei lignaggi religiosi è di impedire l’affermarsi di disequilibri duraturi che minavano la base del segmentarismo, limitando il potere dei capi locali e agendo come contrappeso ai loro capricci”.[21]

Silvano Danesi

[1] Almanacco Piemontese, 1983, Andrea Viglongo & C. Editori – Torino

[2] Almanacco Piemontese, 1983, Andrea Viglongo & C. Editori – Torino

[3] Vedi Federico Krutwig Sagredo, Garaldea, Editoria Txertoa, 1978

[4] Vedi Federico Krutwig Sagredo, Garaldea, Editoria Txertoa, 1978

[5] José Luis Conceptión, Los Guanches que sobrevivieron y su decendencia, Associación Cultural de las islas Canarias

[6] Federico Krutwig, Garaldea, Editorial Txertoa

[7] Federico Krutwig, Garaldea, Editorial Txertoa

[8] José Luis Conceptión, Los Guanches que sobrevivieron y su decendencia, Associación Cultural de las islas Canarias

[9] Louis Charpentier, Mistero dei Baschi, Edizioni dell’Acquario

[10] Louis Charpentier, Mistero dei Baschi, Edizioni dell’Acquario

[11] José Carlos Cabrera Pérez, Lanzarote i los Majos, Centro de la cultura popular canaria

[12] Louis Charpentier, Mistero dei Baschi, Edizioni dell’Acquario

[13] José Luis Conceptión, Los Guanches que sobrevivieron y su decendencia, Associación Cultural de las islas Canarias

[14] Citato da José Carlos Cabrera Pérez, Fuerteventura y los Majoreros, Centro de la cultura popular canaria

[15] José Carlos Cabrera Pérez, Fuerteventura y los Majoreros, Centro de la cultura popular canaria

[16] Citato da José Carlos Cabrera Pérez, Fuerteventura y los Majoreros, Centro de la cultura popular canaria

[17] José Carlos Cabrera Pérez, Fuerteventura y los Majoreros, Centro de la cultura popular canaria

[18] Torriani, citato da José Carlos Cabrera Pérez, Fuerteventura y los Majoreros, Centro de la cultura popular canaria

[19] José Carlos Cabrera Pérez, Fuerteventura y los Majoreros, Centro de la cultura popular canaria

[20] José Carlos Cabrera Pérez, Fuerteventura y los Majoreros, Centro de la cultura popular canaria

[21] José Carlos Cabrera Pérez, Fuerteventura y los Majoreros, Centro de la cultura popular canaria

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La Casta dei Buoni e la nuova tratta degli schiavi

La Casta dei Buoni (composta dai non casti Castisti) parla di accoglienza e considera tutti coloro i quali avanzano obiezioni di qualsiasi tipo alle loro verità politicamente corrette di essere razzisti e fascisti, mentre la loro maschera buonista nasconde la tragica realtà della formazione di un esercito di manodopera di riserva che è funzionale ad un mercato del lavoro dove i diritti dei lavoratori sono ormai un’alea e dove i salari sono sempre più bassi, anche per la presenza di cooperative che offrono servizi a costi inferiori rispetto a quelli dell’assunzione normale.

La nuova dittatura del politicamente corretto, il linguaggio della casta dominante, diventa automaticamente censura per chi la pensa diversamente da lor signori. Tuttavia, la realtà è molto più incisiva della maschera buonista.

E’ noto, perché le cronache ne hanno scritto ad libitum, che in Italia esiste un business dell’accoglienza che ha ingrassato centri, cooperative e privati.

Un secondo business è quello delle cooperative di vario genere e specie che offrono servizi a basso costo e, ovviamente, salari inferiori a chi lavora. Così sempre di più l’equilibrio tra domanda e offerta di lavoro trascina verso il basso salari e diritti. I sindacati, ormai entrati nel coro del buonismo, non fanno una piega.

Un terzo business è quello del lavoro nero e clandestino, al quale si accompagnano l’esercito di prostitute e di spacciatori.

Il fatto è che otto richiedenti asilo su dieci sono migranti economici e non ottengono il permesso di soggiorno. Lo Stato li caccia, ma non li accompagna alla porta e gli immigrati diventano fantasmi. L’accoglienza si trasforma così nella fabbrica dei clandestini. Andranno, se va bene, nelle città a fare gli ambulanti, oppure a lavorare nei campi gestiti dai caporali o, ancora, a mungere le mucche in cambio di vitto, alloggio e dieci euro al giorno. L’esercito dei fantasmi ingrossa l’esercito di manodopera a basso costo nei luoghi dove il lavoro è nero, sottopagato e non servono documenti.

Questi sono i dati, ma la Casta dei Buoni finge di non vederli.

Lo Stato investe per l’accoglienza 4,5 miliardi l’anno e la prova che non tutto procede secondo le regole del buon cuore è l’istituzione di una task force per verificare le strutture dell’accoglienza.

I pilastri del sistema sono due: lo Sprar (servizio di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) gestito dai Comuni, e i Cas, affidati a privati scelti dalle prefetture attraverso bandi pubblici o chiamata diretta. L’adesione al progetto Spar è volontaria. Su ottomila Comuni, cinquemila e trecento hanno detto no grazie.

In Sardegna i Cas sono aumentati del 400%. Strutture turistiche che non ce la facevano più hanno rialzato la testa col business degli immigrati. Anche in questo caso per assoluto altruismo.

Il ruolo delle Ong a Catania, la «parentopoli» nell’organizzazione dell’ospitalità dei richiedenti asilo nel Veneto, i centri per i migranti gestiti dalla ‘ndrangheta in Calabria. Le indagini hanno rivelato un mondo corrotto e soprattutto molto ampio e diffuso, dove i 35 euro che lo Stato versa a chi gestisce i migranti si trasforma in un lauto business, in quanto non vengono garantiti gli standard richiesti.

Si sa, ma il verbo politicamente corretto è che chi lo dice o lo scrive è un rozzo razzista. E hanno ragione, perché la razza dei profittatori è una razza che fa schifo.

La Casta dei Buoni accusa i soliti razzisti, fascio-nazisti (leggi: tutti quelli che non sono d’accordo con i Castiti) di essere insensibili di fronte ai poveretti che finiscono annegati in mare, ma sorvolano bellamente sul fatto che l’agenzia Frontex dell’Unione Europea accusò le Organizzazioni Non Governative di essere “colluse” con gli scafisti. L’addebito suonava più o meno così: i trafficanti prima di mettere in mare le imbarcazioni forniscono ai migranti l’esatta posizione delle navi delle missioni , così da assicurare un rapido ripescaggio. Ovviamente le Ong risposero piccate affermando che si trattava di una “aggressione politica”. Frontex è scorretta mentre le Ong sono, ovviamente, dalla parte del politicamente corretto e del buonismo internazionale.  Poi, come sempre, la realtà smentisce la Casta.

Il tempo, che è galantuomo,  ha portato a galla una verità meno rosea di quella delineata dai vertici delle Ong. A febbraio Frontex è tornata alla carica, scrivendo nel rapporto 2017 che di fatto le navi umanitarie “aiutano i criminali a raggiungere i loro obiettivi a costi minimi, rafforzando il loro modello di business”.:

Le operazioni umanitarie di salvataggio sono schizzate nel corso degli anni. I trafficanti insomma preferiscono le missioni alle navi militari. Perché? La mancanza di coordinamento con le autorità Ue e il vizio delle Ong di spingersi anche oltre i limiti delle acque territoriali, secondo l’Europa, sono un invito ai trafficanti a mettere in mare sempre più barconi, sempre più carichi e con meno benzina. Tanto – è il ragionamento – poco dopo la partenza i migranti vengono presi in carico dai soccorritori che li portano in Italia. Con l’unico effetto di aumentare i morti in mare.

Ora, dopo alcuni accordi con la Libia e con altri Paesi africani, molti migranti sono fermati prima di imbarcarsi, ma il buonismo accusa le autorità italiane di aver consegnato chi vuol raggiungere il miraggio europeo nelle mani di terribili persecutori.

Le vestali del politicamente corretto, in buona sostanza, sono sempre all’opera e, ovviamente, sempre al servizio delle classi dominanti che usano il buonismo come maschera per il loro predominio sociale.

Le vestali non si fermano a favorire il business dell’accoglienza e del mercato del lavoro a basso costo, ma mettono in discussione anche le tradizioni secolari del Bel Paese.

Il Museo egizio di Torino fa lo sconto a chi viene dai Paesi arabi e fa pubblicità in arabo. Ero convinto che Torino fosse in Italia, ma evidentemente non è così.

Una preside che non vuole il presepe è uno dei tanti casi che si leggono sulle italiche cronache.

C’è poi la maestra che, per non offendere gli islamici, trasforma in una canzone natalizia facendo diventare il Bambino Perù, anziché Gesù. Andrebbe licenziata per falso storico e incapacità acclarata, ma si sa, i buonisti assolvono i buonisti e così  l’azione della maestra è stata considerata dai suoi superiori non grave.

Nella chiesa Regina Pacis di Monza alcune fotografie di migranti sono state messe al posto dei quadri raffiguranti la Via Crucis e l’altare è stato ricoperto con la bandiera arcobaleno. Nella chiesa di Sant’Eustorgio di Arcore San Giuseppe, la Madonna e il Bambino erano collocati  su un barcone come quello dei migranti. Propaganda di bassa lega del buonismo schizofrenico.

Nella pubblicità televisiva di una ditta che si occupa di immobili, San Giuseppe cerca un appartamento su una app, mentre Maria si lamenta perché al quinto piano non ci stanno il bue e l’asinello. Il Bambino nella culla, nel frattempo, piange. Nessuno si indigna, i buonisti sono distratti e poi, si tratta di business e allora anche Gesù può essere un testimonial. Se per caso dici che non sei d’accordo con quanto asseriscono gli islamici, i buonisti si scatenano; sei un islamofobo, condannabile, in quanto razzista e già che ci siamo fascista, amico dei nazisti e guerrafondaio.

La Casta dei Buoni ha deciso che dobbiamo essere tutti uguali, grigi consumatori aventi come unica patria il supermercato, seguaci del Dio Mercato e della Chiesa Finanziaria e, possibilmente, privi di ogni abbraccio, perché il puritanesimo ben si attaglia alla logica sterilizzante della Casta. Nel supermercatismo buonista, di Gesù, Maria e Giuseppe si può ben fare uno spot pubblicitario. Business is business.

I preti, nel frattempo, invece di fare i preti, non rinunciano a far politica e ad usare il pulpito non per predicare il Vangelo, ma per imbonire il popolo sulle scelte da fare alle prossime elezioni.

Il vescovo di Como, Oscar Cantoni, invitando dal pulpito al voto, ha aggiunto che i leader populisti non possono assumere responsabilità di governo. Pensasse ai fatti suoi e al fatto che la Chiesa cattolica apostolica romana sta andando a rotoli grazie a quelli come lui.

I preti s lamentano se ad andare in chiesa sono sempre in meno e se le chiese sono sempre più vuote. Se andando in chiesa si devono sentire prediche da spot elettorale, meglio andare al bar.

Secondo l’Istat, la pratica religiosa regolare in Italia, per il 2015, ha coinvolto il 29% degli italiani. Il ché significa che il  61 per cento degli italiani è lontana dal culto religioso. Il vescovo di Como dovrebbe preoccuparsi dei dati Istat, invece di predicare scelte politiche.

l dato medio dell’Istat si ottiene guardando alla pratica religiosa dell’insieme degli italiani con più di 6 anni, per cui esso risulta un poco drogato dalle ali estreme delle popolazione (i bambini da un lato e i soggetti con più di 75 anni dall’altro) che sono i gruppi che presentano la più alta partecipazione al culto domenicale. Ad esempio, ben il 52% dei bambini e dei ragazzi dai 6 ai 13 anni hanno frequentato nel 2015 i riti almeno una volta alla settimana.

Inoltre, guardando alle diverse classi di età, vi è la conferma del fatto che la pratica religiosa assidua è più un habitus della popolazione anziana (con più di 65 anni) che di quella adulta e soprattutto giovanile. Vanno in chiesa ogni domenica il 40% degli anziani, rispetto al 25% di quanti hanno un’età compresa tra i 45 e i 60 anni, rispetto ancora al 15% circa dei giovani tra i 18 e i 29 anni.

I dati più interessanti emergono dall’andamento nel tempo della pratica religiosa che caratterizza le diverse classi di età.

Dal 2006 al 2015, quindi nell’arco dell’ultimo decennio, il gruppo che più si è assottigliato nella pratica religiosa regolare è quello dei giovani dai 18 ai 24 anni, che ha perso ben il 30% dei frequentanti. Lo stesso è avvenuto tra gli adulti dai 55 ai 59 anni. Mentre le flessioni sono più contenute per i 25-29 enni (- 20%), per gli italiani dai 40 ai 50 anni (- 10%), per gli anziani (-12%). Insomma, il calo è generalizzato e interessa anche i bambini e gli adolescenti; ma coinvolge assai più i giovani (cosa nota) e gli over 50 (aspetto questo imprevisto).

La Chiesa cattolica apostolica romana è ormai avviata sulla via del declino, con i preti che si occupano degli spiedi di beneficienza negli oratori diventati luoghi di divertimento, quando non si occupano di fare di tutto meno che il loro mestiere, che dovrebbe chiamarsi vocazione.

Tralasciamo di citare i disastri petrini, che si consumano entro le mura leonine, con i vari scandali, lo Ior, il riciclaggio e via discorrendo.

Anche sui diritti umani la Casta dei Buoni è del tutto strabica.

Le vestali della Casta dei Buoni sono, guarda guarda, tenere con l’Islam e molto distratte quando c’è qualcuno che invoca la libertà in terre dominate dalle teocrazie islamiche.

Le teocrazie o i regni retti in base alla shari’a affamano i loro popoli in nome della religione e dell’esportazione delle loro ideologie totalitarie e poi se la prendono con l’Occidente.

La teocrazia, ogni teocrazia,  è incompatibile con la democrazia ed è nemica del benessere del popolo.

La teocrazia iraniana esporta la rivoluzione sciita, affama il suo popolo e conculca ogni libertà. Gli errori della Francia con Komeini e le allucinazioni della sinistra hanno dato spazio a decenni di oppressione. Ora, a fronte alla rivolta di un popolo che anela alla libertà, la Casta dei Buoni e le vestali del buonismo volgono il capo dall’altra parte. Le vestali, intruppate nel  puritanissimo  sdegno per le attrici di Hollywood insidiate nella loro castità dai loro registi e produttori non battono ciglio per le donne incarcerate in Iran perché vogliono togliersi il velo e vogliono essere libere.

La nuova moda del politicamente corretto radical chic è denunciare gli orchi ormai ottantenni rincoglioniti che avrebbero attentato alle donne in carriera trent’anni fa. Le signore prima hanno fatto carriera e ora si rifanno la verginità.

Anche sul fronte internazionale la Casta dei Buoni è all’arrembaggio.

La pattumiera pseudo democratica radical chic dei clintoniani della globalizzazione finanziaria ha vomitato una nuova montagna di pattume.

Il libro fasullo del giornalista Michael Wolff “Fire and Fury – Inside the Trump White House, che sta andando a ruba nelle librerie Usa e nel quale il presidente Usa viene descritto come mentalmente non inidoneo per il suo alto incarico, è una montagna di gossip di incerta serietà, la cui unica vittima sarà, come è già accaduto in altri casi, Steve Bannon, ridicolizzato e abbandonato dai finanziatori, mollato dal Partito Repubblicano e, ovviamente, divenuto la star della pattumiera pseudo democratica dei radical chic.
Alla fine del grande gossip, sul terreno rimarrà il cadavere politico di Bannon, che puntava alla candidatura alla Casa Bianca.

Nel frattempo il fuoco e la furia infuriano in borsa, che ha fatto nuovi balzi storici, mentre l’economia americana cresce e decresce la disoccupazione.

Con il suo solito stile, Donald Trump ha twittato: «Sono un genio, e stabile». In una serie di straordinari post mattutini, Trump ha detto che i suoi critici democratici e i mezzi di informazione degli Stati Uniti stanno puntando sulla questione della sua sanità mentale e della sua intelligenza (rievocando il morbo di Alzheimer dell’ex presidente Ronald Reagan), dal momento che non sono stati in grado batterlo in altri modi . «In realtà, durante tutta la mia vita – ha scritto – i miei due più grandi punti di forza sono stati la stabilità mentale e l’essere davvero intelligente. Sono passato da essere un uomo d’affari molto riuscito, a una top star televisiva, a presidente degli Stati Uniti (al mio primo tentativo). Penso che questo potrebbe qualificarsi come non intelligente, ma genio… e un genio molto stabile!»
La pattumiera vomita gossip, ma nel frattempo l’Fbi ha aperto un’inchiesta sulla Fondazione Clinton e a Obama andrebbe ritirato il Nobel, visto che ha aperto le porte all’Iran, la cui teocrazia opprime il popolo e prepara armi nucleari. La Clinton, per parte sua, è responsabile, come Obama, di una politica mediorientale disastrosa. In un anno di amministrazione Trump il Medioriente è cambiato completamente, con un ristabilimento del rapporto storico con i Sunniti e con la ripresa di rapporti con Israele, bloccati da otto anni di obamismo mondialista inconcludente e disastroso. La Libia, nel frattempo, potrebbe tornare nelle mani di Gheddafi alla faccia dei Francesi, degli Inglesi e degli obamian-clintoniani, i quali, fingendo di voler abbattere un dittatore volevano abbattere gli interessi italiani.  Il figlio del dittatore ucciso, Saif Al Islam Gheddafi può oggi contare sull’appoggio dell’80 per cento dei membri dei 140 consigli tribali presenti in Libia.

Se questi sono i risultati di un bambino poco intelligente, viva i bambini.
La pattumiera non si fermerà, perché i radical chic sono convinti di essere gli unici intelligenti al mondo e gli unici dotati di moralità. Tuttavia, alla faccia della pattumiera, contano i risultati e quelli ci sono, e come.

Silvano Danesi