Proconsoli e vice proconsoli di un Impero allo sfascio

Antonio Socci, dopo aver ricordato che Renzi per l’approvazione della Cirinnà ha ricevuto una telefonata di congratulazioni da Obama, scrive che questa è “la conferma che il nostro premier ha obbedito all’agenda imposta dall’Impero” e prosegue: “Da questo «contesto internazionale» Renzi ha avuto la sua vera legittimazione, perché non sono stati certo gli italiani a mandarlo a Palazzo Chigi. Da circa vent’anni l’Italia è una sorta di colonia, quasi completamente priva di vera sovranità e sballotatta fra Unione Europea a egemonia tedesca e Stati Uniti, i quali, richiesti in questi giorni di chiarimento sulle intercettazioni di Palazzo Chigi del 2011, hanno risposto esplicitamente che loro, in territorio italiano, fanno quello che vogliono”. Non a caso, dopo le riunioni del Copasir sul caso rivelato da Wikileaks sulle intercettazioni riguardanti Silvio Berlusconi, Palazzo Chigi ha spiegato il tutto con uno stringato: “Collaborazione strettissima con gli Usa”. Da tali intercettazioni emerge quanto già era abbondantemente emerso in passato, ossia che l’asse franco tedesco (Nicolas Sarkozy e Angela Merkel) aveva fatto pressioni su Giorgio Napolitano, allora Presidente della Repubblica, affinché il Quirinale desse all’Italia un governo che non fosse quello presieduto da Silvio Berlusconi.

Sbaglia Antonio Socci sulle date. Non sono vent’anni che siamo una provincia dell’Impero. Lo siamo diventati nel 1945, quando fingendo di aver vinto la guerra, grazie ai partigiani (rossi, verdi e azzurri), abbiamo chiamato alleati quelli che in effetti erano fino al giorno prima nemici. L’Italia era fascista e alleata della Germania di Hitler e dei Giapponesi e combatteva contro gli “alleati”. L’Italia ha perso la guerra (si è arresa nel 1943)  ed è diventata una colonia dell’Impero. Fino alla seconda metà degli anni Ottanta, i proconoli dell’Impero avevano filato d’amore e d’accordo con la nuova Roma, ossia con Washington, che ha salvato l’Italia dalla miseria con il piano Marshall e ha consentito agli italiani di diventare una potenza economica mondiale in un contesto di guerra fredda. Alla Germania era stato riservato un triste destino: la divisione in due con il conseguente muro di Berlino. Nel frattempo era nato un mostro: l’Europa, malvisto dagli Usa e uscito da una fecondazione artificiale con utero in affitto. Un mostro figlio di un padre finanziario e di un padre burocratico, messo in gestazione da governi, accompagnato da un parlamento senza poteri. In seguito, e qui ci avviciniamo alle date di Socci, nel 1989 è caduto il muro di Berlino e la Germania s’è messa in tesa di essere quello che voleva essere con Bismark e con Hitler: Uber Alles, sopra tutti.

In questi vent’anni che ci separano dal 1989 molte cose sono cambiate, ma non il nostro vassallaggio nei confronti degli Usa, che ci hanno conquistati avendo, noi italiani, perso la guerra. In un sistema fatto di un Impero con molte provincie, nelle provincie comandano i proconsoli, che si avvalgono dei vari re Erode per dare al popolo la sensazione che esista da parte sua la legittimazione del potere. Così è stato per l’Italia fino alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso. Poi, pian piano, si è andati oltre e nel frattempo, accanto all’Impero è cresciuta una chimera, l’Europa, a guida tedesca e si sa, certi imperatori romani sono stati grandi, come Adriano, ma altri hanno avuto la vista corta o addirittura erano folli. L’Impero, al quale non è mai piaciuta l’idea di un’Europa federale fatta come gli Stati Uniti d’America, ha pensato bene di nominare un proconsole scelto nel popolo che fu tra i massimi responsabili della tragedia della seconda guerra mondiale: Angela Merkel, la quale aveva il solo merito di essere figlia di un pastore protestante e di essere una “liberata” dal giogo sovietico della Ddr.

L’Italia, così, anziché avere un proconsole occulto e un Presidente del Consiglio evidente si è trovata ad avere un proconsole occulto e un proconsole evidente in Angela Merkel.

I suoi Presidenti del Consiglio sono stati chiamati premier, per nascondere la loro vera natura di vice-proconsoli.

Nasce da qui la storia attuale, dove l’Italia è sotto la tutela dell’Impero, che ha delegato la politica europea ad un proconsole tedesco (i francesi, come al solito fanno i blageur), e ha messo al governo degli italiani un vice-proconsole.

Conseguentemente siamo impotenti.

Martin Wolf sul Financial Time scrive di élite globali che sostengono l’immigrazione di massa perché affermano che degli stranieri c’è bisogno per sostenere il welfare. Nulla di più falso, visti i risultati dell’immigrazione incontrollata.

Mario Draghi dice che nell’economia globale “ci sono forze che cospirano per tenere bassa l’inflazione” e che la Bce non si arrenderà.

In un vuoto di potere del parlamento europeo, che conta meno di zero, si pensa ad un ministro del tesoro comunitario per gestire la crisi. Un ministro, che ovviamente, risponda al proconsole tedesco e al quale i vice proconsoli dovranno allinearsi.

Non stupisce, pertanto, che la Gran Bretagna, la quale la guerra l’ha vinta davvero e che non è una provincia dell’Impero, ma un alleato degli Usa, abbia deciso di non sottostare al proconsole e di recuperare pienamente la sua sovranità nazionale. La seguiranno probabilmente altre nazioni che non hanno vice proconsoli a comandarle.

In questo panorama sconsolante la vera domanda da porsi è dove stia la testa dell’Impero, atteso che l’ultimo imperatore è stato ed è un vero disastro.

L’Impero romano, dopo Costantino, che spostò la capitale a Costantinopoli (Istambul ), ogni riferimento è puramente casuale, e abbandonò l’imperium per l’ideologia, precipitò nel caos.

Fu così anche con Akhenaton, il quale scelse l’ideologia e precipitò l’Egitto nel caos fino a quando non fu mandato in esilio.

Quando arriveranno i Ramessidi?

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Massoneria e Chiesa, confronto necessario.

Un commento all’articolo scritto dal Cardinal Gianfranco Ravasi su Il Sole 24 Ore del 14 febbraio 2016, dal titolo: “Cari fratelli massoni” non può, a mio avviso, che partire dalla conclusione di Ravasi, ove egli scrive: “In conclusione, come scrivevano già i vescovi di Germania, bisogna andare oltre «ostilità, oltraggi, pregiudizi» reciproci, perché «rispetto ai secoli passati sono migliorati il tono, il livello e il modo di manifestare le differenze» che pure continuano a permanere in modo netto”.

L’avvio di un dialogo, non solo utile, ma necessario in un mondo in grave crisi di riferimenti ideali e sempre meno volto al sacro, non può che partire dal concetto di «differenza», che non è sinonimo di «contrapposizione». Un’analisi onesta e obbiettiva delle differenze è il presupposto fondativo di un confronto costruttivo che parta da ambiti specifici, come (cito Ravasi) la dignità umana, la conoscenza reciproca, la dimensione comunitaria, il contrasto al materialismo, le beneficienza.

Quelli citati sono titoli di altrettanti capitoli di un confronto che può condurre non solo a orizzonti comuni di pensiero, ma anche a percorsi comuni d’azione.

Fatta questa opportuna premessa, che pone le basi per una risposta positiva all’apertura al dialogo e al confronto espressa dal Cardinale Ravasi, va detto fermamente che le differenze non implicano necessariamente l’incompatibilità, che non è mai stata posta dalla Massoneria ad è stata in più occasioni dichiarata dalla Chiesa.

La Chiesa dialoga senza «ostilità, oltraggi, pregiudizi» con altre confessioni religiose la cui appartenenza è chiaramente incompatibile con l’essere cristiani o, più nello specifico, cattolici.

La Chiesa dialoga con esponenti di varie correnti filosofiche le cui idee sono assai distanti da quelle del cristianesimo e del cattolicesimo.

E’ del tutto incomprensibile per quale motivo non possa dialogare, confrontarsi, distinguersi e anche convergere con quanto va maturando il dibattito interno alla Massoneria, riguardo alla quale, come ha puntualmente colto il Cardinale Ravasi, da acuto osservatore e da raffinato intellettuale (cito): “si può parlare di un orizzonte e di un metodo più che di un sistema dottrinale codificato” e di “un’antropologia basata sulla libertà di coscienza”.

Molte incomprensioni sono da collocare nella storia del potere temporale della Chiesa e nella contemporanea storia della Massoneria, ossia in un orizzonte profano, sia dal punto di vista ecclesiale, sia dal punto di vista massonico e va detto che anche in questo ambito di analisi andrebbero fatte molte proficue puntualizzazioni.

La Massoneria, come ho avuto modo di scrivere nel mio “Exempla” (ilmiolibro.it) non è e non deve essere, come potrebbe apparire a osservatori superficiali, in special modo per il suo sviluppo settecentesco, un’associazione ove ricchi borghesi anelano ad accreditamenti pseudo nobiliari e ove nobili al tramonto tentano accreditamenti nelle ricchezze borghesi.

La Massoneria non è e non deve essere luogo di incontri di interessi profani e nemmeno mallevatrice di scalate sociali o, peggio, rifugio di complessati in cerca di certezze o, ancora, di paranoici alla ricerca di un piedistallo sul quale collocare la loro inutile statua.

La Massoneria è e deve essere luogo di ricerca, di conoscenza e di elevazione spirituale.

La Massoneria è e deve essere luogo di libero pensiero e di sviluppo della e delle libertà.

La Massoneria è una importante radice d’Europa, che alimenta e vivifica l’albero europeo, a sua volta alimentata da radici profonde.

L’autentica Massoneria tradizionale, alla quale guardano i massoni che si riferiscono alla Tradizione, è quella operativa, quella delle corporazioni dei costruttori, della cui sapienza preclara sono testimonianza ineludibile e incontrovertibile le opere, come le splendide cattedrali gotiche, tra le quali eccelle, non solo per stile e bellezza, quella di Chartres.

La Massoneria tradizionale ha vissuto per secoli a fianco della Chiesa, interpretando nelle opere le acquisizioni maturate dal dibattito filosofico e teologico sviluppatosi nei conventi e nelle schole. “I «dottori in pietre” – scrive Georges Duby – avevano perfettamente assimilato la scienza dei numeri insegnata nelle scuole, e si autodefinivano «maestri», intendendo così riallacciarsi all’università. Gli edifici che era loro compito costruire, infatti, inscrivevano nella materia inerte il pensiero dei professori e il suo cammino dialettico”. [1]

Per l’uomo romanico e per quello gotico la creazione non è finita e l’uomo vi contribuisce con le sue opere. L’Artefice lo chiama a collaborare e così il lavoro assume una funzione sacra e creatrice. E l’uomo collabora. E a collaborare sono soprattutto gli specialisti, i maestri d’opera. “Quegli uomini – scrive Duby – conoscevano perfettamente il proprio mestiere, ed erano in grande familiarità con i dottori di teologia, pari loro, con cui condividevano le scienze dei numeri e delle combinazioni dialettiche…”. [2]

Il dialogo, pertanto, ha fondamenta solide, anche se lo sviluppo del pensiero europeo (di questo si tratta) per molti secoli, sia pure connotato dal cristianesimo non è stato lineare e nemmeno pacifico e sono stati in molti, anche tra i chierici, anzi, direi soprattutto tra i chierici, a rivendicare una libertà di ricerca del rapporto con il divino che andasse oltre i dogmi, le verità rivelate (ossia date a qualcuno e poi velate ai molti), le idee imposte dall’auctoritas. Margherita Porete, Meister Echkart, il movimento delle Beghine, Giovanni Scoto Eriugena, Pelagio, Abelardo, gli Amalriciani, i Papelardi, Giordano Bruno sono solo alcuni esempi di un confronto serrato, a volte cruento, relativo alla via da percorrere alla ricerca del Divino.

La questione del Divino è sicuramente una differenza radicale tra chi, come la Massoneria, non definisce Dio in alcun modo, se non con l’appellativo generico di Grande Architetto dell’Universo, che non implica alcuna affermazione ontologica e chi lo definisce e lo vuole incarnato in un uomo. La Massoneria chiede al massone di ipotizzare il Divino e di tendere ad esso attraverso un processo di conoscenza. Se un massone crede che il Divino abbia le caratteristiche che la dottrina cristiana gli suggerisce e crede che il Divino si sia incarnato in un uomo, ossia in Gesù, la Massoneria lo rispetta, purchè egli non pensi che tutti gli altri debbano necessariamente condividere le sue idee.

La Massoneria, pertanto, non complotta contro la Chiesa e l’idea stessa di complotto, contenuta nella varie condanne, è politicamente (sottolineo il termine) datata e riguarda la Chiesa come istituzione temporale, nei confronti della quale, in alcuni periodi storici ben precisi, chi affermava il diritto al libero pensiero si è scontrato.

Oggi, come dice bene il Cardinale Ravasi, sono mutati (aggiungo: dovrebbero definitivamente mutare) il tono, il livello e il modi di manifestare le differenze e anche le ultime affermazioni del 1983, sia del Canone, sia della Congregazione della dottrina della fede, sono datate e da superare.

Il Cardinal Ravasi è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra e del Consiglio di Coordinamento fra Accademie Pontificie. Quanto ha scritto sul quotidiano Il Sole 24 Ore rappresenta un importante motivo di riflessione.

Ragioniamo, dunque, delle diversità e dei valori comuni. C’è lavoro da fare, per il bene dell’Umanità.

Silvano Danesi

[1] Georges Duby, “L’arte e la società medievale”, Laterza.

[2] Georges Duby, “L’arte e la società medievale”, Laterza.

Un “valentino” d’amore per le streghe

Sin dal quindicesimo secolo i “valentini” erano i biglietti d’amore e di tenerezze che gli innamorati si scambiavano quando la natura dava i primi segni di risveglio.

In questi giorni di annuncio di primavera vorrei dedicare un “valentino” alle streghe assassinate sui roghi della Santa Inquisizione, condannate, dopo essere state torturate, da delinquenti psicopatici al servizio di Santa Romana Chiesa.

Roghi di streghe

Primavera è tempo di riti di fertilità e i nostri antenati, in questo periodo, nei campi, propiziavano le forze della natura.

Molte forme rituali si svolgevano nei boschi e nei campi, dove venivano accesi fuochi e consumati banchetti, accompagnati da musiche e balli che spesso proseguivano fino a tarda notte o all’alba.

Gli antichi dei, scacciati dalla cristianizzazione, non cessarono di vivere nelle tradizioni popolari e di essere venerati secondo le antiche usanze, ma le divinità furono trasformate dai sacerdoti della nuova religione in diavoli, i riti mutati in sabba infernali e coloro che li praticavano in maghi, streghe e stregoni, donne e uomini dediti al peccato.

In terra bresciana la leggenda narra di streghe che dalle sponde del Sebino e dalla Valcamonica si raccoglievano sul Tonale in nefandi conciliaboli. Quando si trovavano assieme, queste “bestie heretiche” facevano diventare cavallo la scopa, andavano a braccetto col demonio e con gli occhi seccavano piante e fiori.

La leggenda si fa tragicamente storia quando la realtà, superando di gran lunga la fantasia, si veste dei panni degli inquisitori domenicani, come quel “prete Grosso” il quale, dopo una visita al Tonale, fece bruciare otto streghe, mentre alcuni suoi colleghi a Lovere ne mandavano al supplizio sessanta, con otto stregoni, colpevoli di essere scesi dal Tonale a sconvolgere il lago (anche la Sarneghera era opera del diavolo!).

Roghi di streghe dueIl nobile veneziano Marin Sanudo, testimone dei misfatti, scrive: “ … mentre venivano lette le loro sentenze, ho visto queste donne veramente pentite, secondo me, infatti recitavano molte preghiere e si racomandavano a Dio e alla santissima Vergine, dicendo sempre: o Dio misericordia! E tra di loro ce ne fu una che, alla mia presenza, si rivolse al vicario frate Bernardino dicendogli: “Mi fate un grande torto. Gli altri devono saperlo, che siccome io non dicevo come voi volevate, mi avete detto ‘brutta vacca’ e altre parolacce. E poi non mi avevi giurato di lasciarmi andare se avessi detto come volevate voi? Mi avete sull’anima (oppure: lo avete giurato) com’è vero che avete addosso un vestito. Tu sei peggio di me”. E aggiungeva: “Dio mi è testimone, lui che ci vede da lassù”. E quasi tutte gli dicevano che aveva promesso di rilasciarle se avessero confessato. E aggiungo che ho udito una di quelle donne che doveva pure essere bruciata, la quale diceva davanti a tutti: “Sappiate in verità che discolpo Antonino Decus e il Ciabattino e Bartolomio Mori” poi nominava degli altri dicendo: “Non è vero che io li abbia mai visti al sabba sul monte Tonale; me lo hanno fatto dire per forza, e questo lo dico per scaricare la mia coscienza”.

“E dico che lo spettacolo che mi si presentava era di tale crudeltà, vedere quelle donne sul rogo che bruciavano vive, che arretrai attonito: due o tre erano morte e quasi completamente arse prima ancora che il fuoco avesse raggiunto le altre.
E aggiungo di aver udito pubblicamente che alle streghe si infliggono torture eccessive; tra le altre cose ad una donna fu dato il tormento del fuoco perché confessasse al punto che per la violenza del fuoco quella ebbe i piedi staccati; io penso che anche per questo motivo si raccontino molte cose false. E dico che simili processi dovrebbero essere istruiti da uomini di grandissima competenza, teologi e canonisti di retta coscienza e pieni del timor di Dio, perché qui si tratta della morte di esseri umani”.

Questo accadeva, grazie all’opera del frate Bernardinus de Grossis, nell’anno di grazia 1518, nel territorio bresciano della Serenissima Repubblica di Venezia.

Frate Bernardinus de Grossis, un nome da ricordare ad esecranda memoria nei secoli dei secoli, perché non ne nascano altri come lui e perché la memoria delle sue nefandezze ci ricordi quanto vili possono essere gli uomini.

Questo immondo personaggio merita la condanna che Severino Boezio asserisce essere connaturata a “chi abbandona il fine comune [il platonico Bene] a tutte le cose che sono cessa in pari tempo di essere. Questa mia affermazione – dice Boezio -, cioè che proprio i cattivi, ….., non sono, potrà forse sembrare strana a qualcuno; ma la questione sta proprio in questi termini. Io – continua Boezio – non contesto infatti che i cattivi siano, appunto cattivi; ma nego nettamente e semplicemente che essi siano”.

E’, infatti, ciò che si mantiene nella propria condizione e conserva la propria natura; quello che invece si stacca da questa abbandona anche l’essere, che è insito nella sua natura”.

Bernardinus de Grossis, i suoi colleghi, così come coloro i quali hanno dato a questi psicopatici l’ordine di inquisire e condannare, a cominciare dal quel papa Innocenzo III mai sufficientemente esecrato, hanno cessato di essere degli essere umani e sono divenuti inesistenti: hanno perso la loro anima e il loro nucleo spirituale.

Seguiamo le cronache e la triste contabilità dei roghi.

Nei primi mesi del 1485, suggeriscono le cronache del tempo, il frate domenicano Antonio Petoselli, altro delinquente psicopatico che ha perso la sua essenza di essere umano e si è perso nell’inesistente, parte per la Valcamonica, dove nei boschi e nelle radure si riuniscono “a foter e balar” uomini, donne, diavoli e diavolesse e a Edolo scopre molte persone che conducono vita eretica. Le accuse sono di bestemmiare il nome di Dio, di sputare sulla croce di Cristo, di eseguire fatture e di immolare bambini.

Nel 1499 tre sacerdoti “assatanati” sono accusati di eresia, di apostasia di Cristo, di pratiche diaboliche ed orgiastiche. I tre imputati sono Martino Raimondi, parroco di Ossimo, Ermanno de Fostinibus, di Breno e don Donato de Buzolo di Paisco Loveno. Le accuse? Aver frequentato il “zuogo del Tonale”, aver rifiutato Cristo calpestandone la croce e, si badi bene, aver causato violente grandinate sull’intera valle, secondo le regole apprese in un vecchio libro, ricevuto in dono dal Signore della radura.

Seguono le accuse di aver consegnato ostie, olio e acqua santa al diavolo, di aver celebrato messe nere, di aver consegnato lo sperma al demonio perché ne facesse unguenti (qui gli psicologi avrebbero molto materiale su cui lavorare), di aver lasciato morire senza sacramenti alcuni moribondi per consegnarne le anime al demonio.

Nel 1518 gli inquisitori Bernardino de Grossis (il “prete Grosso”) e Giacomo de Gablani, altro condannatosi all’inesistenza, a Pisogne, Rogno e Darfo vagliano testimonianze e delazioni. In poche settimane nelle loro mani finiscono 5 mila dei 34 mila abitanti della valle: un camuno su sette è inquisito.

Il 23 giugno, vigilia di San Giovanni Battista, giorno nel quale nell’antichità si accendevano fuochi per invocare l’azione del sole e la fertilità della terra, a Cemmo furono mandati al rogo sette donne e un uomo.

I roghi si moltiplicano. Il 14 luglio del 1518 un cronachista riporta l’esecuzione di settanta streghe. Un’altra testimonianza parla di sessantaquattro persone bruciate in quattro luoghi della Valcamonica. Un’altra cronaca elenca: tra streghe e stregoni 66 in tutto, dei quali 10 uomini e 56 donne. Una carneficina in nome di Dio.

Nei giorni attuali, nei quali la Chiesa parla di persecuzione dei cristiani, dovrebbe chiedere quantomeno scusa per le carneficine perpetrate in nome del suo dio.

Nei giorni in cui si inorridisce per i delitti orrendi degli estremisti islamici, è politicamente corretto (un concetto che va di moda) ricordare gli orrendi crimini della Chiesa perpetrati da psicopatici al servizio del Papa e in nome di Cristo.

 

 

Exempla, un libro di testi massonici

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Exempla è una raccolta di testi relativi a interventi svolti in ambito massonico in occasioni diverse e a diversi gradi di approfondimento.

I testi, scritti per eventi specifici, anche se mantengono una loro autonomia, sono stati coordinati al fine di offrire il più possibile l’idea, anche a un pubblico profano, di quali siano gli argomenti trattati nelle riunioni della Massoneria tradizionale.

Exempla è acquistabile su:

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