Sin dal quindicesimo secolo i “valentini” erano i biglietti d’amore e di tenerezze che gli innamorati si scambiavano quando la natura dava i primi segni di risveglio.
In questi giorni di annuncio di primavera vorrei dedicare un “valentino” alle streghe assassinate sui roghi della Santa Inquisizione, condannate, dopo essere state torturate, da delinquenti psicopatici al servizio di Santa Romana Chiesa.
Primavera è tempo di riti di fertilità e i nostri antenati, in questo periodo, nei campi, propiziavano le forze della natura.
Molte forme rituali si svolgevano nei boschi e nei campi, dove venivano accesi fuochi e consumati banchetti, accompagnati da musiche e balli che spesso proseguivano fino a tarda notte o all’alba.
Gli antichi dei, scacciati dalla cristianizzazione, non cessarono di vivere nelle tradizioni popolari e di essere venerati secondo le antiche usanze, ma le divinità furono trasformate dai sacerdoti della nuova religione in diavoli, i riti mutati in sabba infernali e coloro che li praticavano in maghi, streghe e stregoni, donne e uomini dediti al peccato.
In terra bresciana la leggenda narra di streghe che dalle sponde del Sebino e dalla Valcamonica si raccoglievano sul Tonale in nefandi conciliaboli. Quando si trovavano assieme, queste “bestie heretiche” facevano diventare cavallo la scopa, andavano a braccetto col demonio e con gli occhi seccavano piante e fiori.
La leggenda si fa tragicamente storia quando la realtà, superando di gran lunga la fantasia, si veste dei panni degli inquisitori domenicani, come quel “prete Grosso” il quale, dopo una visita al Tonale, fece bruciare otto streghe, mentre alcuni suoi colleghi a Lovere ne mandavano al supplizio sessanta, con otto stregoni, colpevoli di essere scesi dal Tonale a sconvolgere il lago (anche la Sarneghera era opera del diavolo!).
Il nobile veneziano Marin Sanudo, testimone dei misfatti, scrive: “ … mentre venivano lette le loro sentenze, ho visto queste donne veramente pentite, secondo me, infatti recitavano molte preghiere e si racomandavano a Dio e alla santissima Vergine, dicendo sempre: o Dio misericordia! E tra di loro ce ne fu una che, alla mia presenza, si rivolse al vicario frate Bernardino dicendogli: “Mi fate un grande torto. Gli altri devono saperlo, che siccome io non dicevo come voi volevate, mi avete detto ‘brutta vacca’ e altre parolacce. E poi non mi avevi giurato di lasciarmi andare se avessi detto come volevate voi? Mi avete sull’anima (oppure: lo avete giurato) com’è vero che avete addosso un vestito. Tu sei peggio di me”. E aggiungeva: “Dio mi è testimone, lui che ci vede da lassù”. E quasi tutte gli dicevano che aveva promesso di rilasciarle se avessero confessato. E aggiungo che ho udito una di quelle donne che doveva pure essere bruciata, la quale diceva davanti a tutti: “Sappiate in verità che discolpo Antonino Decus e il Ciabattino e Bartolomio Mori” poi nominava degli altri dicendo: “Non è vero che io li abbia mai visti al sabba sul monte Tonale; me lo hanno fatto dire per forza, e questo lo dico per scaricare la mia coscienza”.
“E dico che lo spettacolo che mi si presentava era di tale crudeltà, vedere quelle donne sul rogo che bruciavano vive, che arretrai attonito: due o tre erano morte e quasi completamente arse prima ancora che il fuoco avesse raggiunto le altre.
E aggiungo di aver udito pubblicamente che alle streghe si infliggono torture eccessive; tra le altre cose ad una donna fu dato il tormento del fuoco perché confessasse al punto che per la violenza del fuoco quella ebbe i piedi staccati; io penso che anche per questo motivo si raccontino molte cose false. E dico che simili processi dovrebbero essere istruiti da uomini di grandissima competenza, teologi e canonisti di retta coscienza e pieni del timor di Dio, perché qui si tratta della morte di esseri umani”.
Questo accadeva, grazie all’opera del frate Bernardinus de Grossis, nell’anno di grazia 1518, nel territorio bresciano della Serenissima Repubblica di Venezia.
Frate Bernardinus de Grossis, un nome da ricordare ad esecranda memoria nei secoli dei secoli, perché non ne nascano altri come lui e perché la memoria delle sue nefandezze ci ricordi quanto vili possono essere gli uomini.
Questo immondo personaggio merita la condanna che Severino Boezio asserisce essere connaturata a “chi abbandona il fine comune [il platonico Bene] a tutte le cose che sono cessa in pari tempo di essere. Questa mia affermazione – dice Boezio -, cioè che proprio i cattivi, ….., non sono, potrà forse sembrare strana a qualcuno; ma la questione sta proprio in questi termini. Io – continua Boezio – non contesto infatti che i cattivi siano, appunto cattivi; ma nego nettamente e semplicemente che essi siano”.
“E’, infatti, ciò che si mantiene nella propria condizione e conserva la propria natura; quello che invece si stacca da questa abbandona anche l’essere, che è insito nella sua natura”.
Bernardinus de Grossis, i suoi colleghi, così come coloro i quali hanno dato a questi psicopatici l’ordine di inquisire e condannare, a cominciare dal quel papa Innocenzo III mai sufficientemente esecrato, hanno cessato di essere degli essere umani e sono divenuti inesistenti: hanno perso la loro anima e il loro nucleo spirituale.
Seguiamo le cronache e la triste contabilità dei roghi.
Nei primi mesi del 1485, suggeriscono le cronache del tempo, il frate domenicano Antonio Petoselli, altro delinquente psicopatico che ha perso la sua essenza di essere umano e si è perso nell’inesistente, parte per la Valcamonica, dove nei boschi e nelle radure si riuniscono “a foter e balar” uomini, donne, diavoli e diavolesse e a Edolo scopre molte persone che conducono vita eretica. Le accuse sono di bestemmiare il nome di Dio, di sputare sulla croce di Cristo, di eseguire fatture e di immolare bambini.
Nel 1499 tre sacerdoti “assatanati” sono accusati di eresia, di apostasia di Cristo, di pratiche diaboliche ed orgiastiche. I tre imputati sono Martino Raimondi, parroco di Ossimo, Ermanno de Fostinibus, di Breno e don Donato de Buzolo di Paisco Loveno. Le accuse? Aver frequentato il “zuogo del Tonale”, aver rifiutato Cristo calpestandone la croce e, si badi bene, aver causato violente grandinate sull’intera valle, secondo le regole apprese in un vecchio libro, ricevuto in dono dal Signore della radura.
Seguono le accuse di aver consegnato ostie, olio e acqua santa al diavolo, di aver celebrato messe nere, di aver consegnato lo sperma al demonio perché ne facesse unguenti (qui gli psicologi avrebbero molto materiale su cui lavorare), di aver lasciato morire senza sacramenti alcuni moribondi per consegnarne le anime al demonio.
Nel 1518 gli inquisitori Bernardino de Grossis (il “prete Grosso”) e Giacomo de Gablani, altro condannatosi all’inesistenza, a Pisogne, Rogno e Darfo vagliano testimonianze e delazioni. In poche settimane nelle loro mani finiscono 5 mila dei 34 mila abitanti della valle: un camuno su sette è inquisito.
Il 23 giugno, vigilia di San Giovanni Battista, giorno nel quale nell’antichità si accendevano fuochi per invocare l’azione del sole e la fertilità della terra, a Cemmo furono mandati al rogo sette donne e un uomo.
I roghi si moltiplicano. Il 14 luglio del 1518 un cronachista riporta l’esecuzione di settanta streghe. Un’altra testimonianza parla di sessantaquattro persone bruciate in quattro luoghi della Valcamonica. Un’altra cronaca elenca: tra streghe e stregoni 66 in tutto, dei quali 10 uomini e 56 donne. Una carneficina in nome di Dio.
Nei giorni attuali, nei quali la Chiesa parla di persecuzione dei cristiani, dovrebbe chiedere quantomeno scusa per le carneficine perpetrate in nome del suo dio.
Nei giorni in cui si inorridisce per i delitti orrendi degli estremisti islamici, è politicamente corretto (un concetto che va di moda) ricordare gli orrendi crimini della Chiesa perpetrati da psicopatici al servizio del Papa e in nome di Cristo.