I RASOI DI TRUMP E DI ORBAN CHIARISCONO GLI SCHIERAMENTI DELL’AGONE MONDIALE

Di Silvano Danesi

Tump ha spezzato l’asse Bush- Clinton e ha messo in chiaro gli schieramenti in campo nella guerra mondiale “senza confini” in atto. Orban ha chiarito gli schieramenti europei. Tutto non è come prima.

Siamo nella terza guerra mondiale, una guerra “senza limiti”, descritta in un libro della fine degli anni Novanta da due ufficiali cinesi: Quiao Liang e Wang Xiangsui (Guerra senza limiti – L’arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione).

E’ una guerra che si gioca sul piano dell’hard power, del soft power, dell’economia, della finanza, delle armi vere e proprie, di quelle batteriologiche e della tecnologia.

In questa guerra senza limiti il virus, nato nei laboratori cinesi e tenuto nascosto dalla Cina per mesi,  oggettivamente ha disastrato le economie occidentali, mentre quella cinese si è subito ripresa, viaggia con un Pil in crescita consistente e il Dragone, mentre l’Occidente era bloccato dai lock down ha allargato la sua influenza nei settori strategici delle materie prime. Questo è un fatto.

La pandemia ha messo in chiaro, con un’evidenza ormai incontestabile, che esistono cartelli che intendono governare il mondo, riducendo la sovranità degli Stati, trasformando i popoli in un esercito di consumatori e eliminando il ceto medio produttivo a tutto favore delle multinazionali e della finanza internazionale.

La narrazione della pandemia, avendo come obbiettivo la riduzione della democrazia, ha messo in evidenza come l’uso dei media sia ormai sottoposto al controllo del cartello pubblicitario, che detta le regole e indica i contenuti e le modalità dell’informazione.

Le migrazioni pilotate hanno reso evidente un progetto di sostituzione etnica.

Il pensiero unico delle élite ha messo in evidenza il progetto di eliminare alcuni dei fondamenti dell’umanità e di instaurare un relativismo esistenziale dove tutto è fungibile e trasformabile.

L’uso della tecnologia ha rivelato il suo retroterra cosmista e transumanante.

Dietro a queste evidenze, sempre più evidenti e cogenti, a tal punto da mettere in discussione la libertà individuale e di pensiero, la socialità, i rapporti inter umani, c’è la strategia di pochi che, sulla base di un accumulo enorme di ricchezza, pensano di poter governare il pianeta secondo i criteri di un totalitarismo feudale mascherato da filantropia.

Al blocco del Filantropo si è accodata un parte della Chiesa cattolica, dopo le dimissioni “spintanee” di Papa Benedetto XVI e la nomina di Jorge Mario Bergoglio, fortemente voluta dal Gruppo di san Gallo, la cui linea politica è in sintonia con quella delle élite mondialiste.

L’entrata sulla scena politica di Donald Trump ha ulteriormente evidenziato la presenza di due mondi che si contrappongono: da una parte quello globalista e mondialista delle élite finanziarie del nuovo feudalesimo, che scambiano la protezione con la cessione di sovranità e di libertà; dall’altro quello dell’alleanza tra produttori, della sovranità degli Stati, del rapporto tra Stati e nazioni basato sulla reciprocità.

Lo scontro attuale in atto negli Usa è il frutto di questo chiarimento trumpiano degli schemi a confronto. Un chiarimento che ha spezzato la trasversalità precedente tra Democratici e Repubblicani e che è stato reso evidente in questi giorni da uno dei fatti più eclatanti della sua presidenza: il licenziamento di Henry Kissinger e di tutto il comitato per la politica di difesa del Pentagono.

In pratica Trump ha licenziato l’artefice della liaison dangereuse tra il blocco dei Bush e quello dei Clinton. Una liaison  che aveva creato un asse trasversale delle élite finanziarie che ha prodotto la delocalizzazione produttiva in Cina, il disastro mediorientale, il globalismo e il pensiero unico politicamente corretto che è il soffocamento della libertà.

Una pulizia mai vista. La pulizia riguarda gli uomini dei Bush e dei Clinton, a dimostrazione che è un in atto uno scontro colossale.

Gli 11 consiglieri  sono gli ex segretari di Stato Henry Kissinger e Madeleine Albright, l’ammiraglio in pensione Gary Roughead, che ha servito come capo delle operazioni navali, Jane Harman, un tempo membro di rango del Comitato per i servizi segreti della Camera, Rudy de Leon, un ex direttore operativo al Pentagono. Rimossi anche l’ex leader della maggioranza alla Camera Eric Cantor e David Mc Cormick, un ex sottosegretario del Dipartimento del Tesoro durante l’amministrazione di George W. Bush. Rimossi Jamie Gorelick, un vice procuratore dell’amministrazione Clinton e Robert Joseph, un capo negoziatore nucleare statunitense che ha convinto la Libia a rinunciare alle armi di distruzione di massa. Estromesso anche l’ex vice consigliere per la sicurezza nazionale di Bush JD Crouch II e Franklin Miller, un ex alto funzionario della difesa.

Esclusi, infine, l’ambasciatore Paula Dobriansky e l’ex senatore James Talent, R-Mo

La mossa di Trump spezza l’asse tra il Gop dei Bush e il clan Clinton e rende ulteriormente evidenti i confini dei due schieramenti in campo e non è una mossa di breve respiro, ma uno spartiacque destinato a durare nel tempo. Trump ha trasformato il Gop da partito dei conservatori a partito dei produttori, rendendo evidente che i Dem sono il partito della finanza.

In questa dinamica di chiarimento mondiale si colloca la lettera del primo ministro ungherese Viktor Orban al finanziere Soros, che trascina sul proscenio i manovratori occulti.

Ecco cosa scrive Orban: “Molti credono che il primo ministro di un Paese non debba entrare in discussione con George Soros. La loro argomentazione riguarda il fatto che Soros sia un criminale economico, perché ha fatto i soldi attraverso la speculazione, rovinando la vita di milioni di persone e persino ricattando intere economie nazionali. Affermano che così come i governi non devono negoziare con i terroristi, allo stesso modo i primi ministri non debbano discutere con i criminali economici. Eppure ora sono costretto a farlo, perché in un articolo apparso sul sito di Project Syndicate il 18 novembre, lo speculatore e miliardario di origine ungherese George Soros ha esplicitamente impartito ordini ai leader dell’Unione europea. Nel suo articolo dà loro istruzioni su come punire severamente quegli Stati membri che non vogliono entrare a far parte di un impero europeo unificato sotto la bandiera di una “società aperta” globale. Nel corso della storia, le nazioni dell’Europa hanno sempre rappresentato la sua forza. Sebbene di origini diverse, le nazioni europee hanno condiviso le radici comuni della nostra fede. Il fondamento delle nostre comunità è stato il modello familiare europeo, che a sua volta si basa sulle tradizioni giudaico-cristiane. È stata la libertà cristiana a garantire la libertà di pensiero e di cultura e a creare una concorrenza positiva tra le nazioni del continente. Questa magnifica fusione di contrasti ha reso l’Europa la potenza leader del mondo attraverso secoli di storia.
Ogni tentativo di unificare l’Europa sotto l’egida di un impero è fallito. Così l’esperienza storica ci dice che l’Europa tornerà ad essere grande se le sue nazioni diventeranno di nuovo grandi e resisteranno ad ogni forma di ambizione imperiale. Ancora una volta, potenti forze si stanno muovendo per sradicare le nazioni d’Europa e unificare il continente sotto l’egida di un impero globale. Il network di Soros, che è penetrato nella burocrazia europea e nella sua élite politica, lavora da anni per rendere l’Europa un continente di immigrati. Oggi il network di Soros, che promuove una società globale aperta e cerca di abolire i contesti nazionali, è la più grande minaccia che gli stati dell’Unione Europea abbiano mai affrontato. Gli obiettivi del network sono evidenti: creare società aperte multietniche e multiculturali accelerando le migrazioni, e smantellare il processo decisionale nazionale, mettendolo nelle mani dell’élite globale”.

Viktor Orban, con la sua lettera, mette in chiaro, in Europa, come ha fatto Donald Trump in America, che i due schieramenti in essere sono: da una parte l’Europa dei burocrati e delle élite asserviti a Soros, alla finanza e al globalismo e, dall’altra, l’Europa dei popoli e delle nazioni, dell’economia reale, delle radici.
“L’Unione Europea  – afferma ancora Orban – continua a vivere molte difficoltà: dal 2008 una crisi economica di proporzioni mai viste da generazioni; dal 2015 una crisi migratoria; e nel 2020 una devastante pandemia globale. L’Europa non si è ancora ripresa dalle sue precedenti crisi, quindi l’impatto della pandemia di coronavirus ha il potenziale per indurre una crisi addirittura superiore alle precedenti. Ci sono già segnali evidenti: in molti paesi il debito pubblico, i tassi di disoccupazione e la situazione economica generale hanno raggiunto dei livelli critici. La necessità di una solidarietà europea, di nazioni europee che si uniscano per aiutarsi a vicenda, non è mai stata così forte.
Durante tutte queste crisi, lo speculatore – che si definisce filantropo – non ha considerato gli interessi dei cittadini europei, ma ha agito a proprio vantaggio. Come dimenticare quando attaccò il fiorino ungherese e la più grande banca ungherese durante la crisi economica, e quando pianificò di accelerare, distribuire e finanziare il reinserimento degli immigrati durante la crisi migratoria; e ora propone che gli Stati membri si puniscano a vicenda, invece di promuovere la solidarietà e l’assistenza reciproca”.

L’accenno al filantropo evoca il Filantropo di Soloviev e colloca il filantropismo dei finanzieri nella giusta accezione.
“Il network diretto da George Soros – accusa Orban – ora nemmeno esita più ad esercitare un’ingerenza evidente. Vuole mettere più pressione che mai sugli Stati nazionali. Sta mettendo i popoli d’Europa l’uno contro l’altro. Il sistema operativo del suo network è labirintico ed è presente in vari scenari della vita pubblica. Sul libro paga di George Soros c’è una lunga lista di politici, giornalisti, giudici, burocrati e agitatori politici mascherati da membri di organizzazioni della società civile. E sebbene il miliardario accusi tutti i suoi nemici di corruzione, lui stesso è l’uomo più corrotto del mondo. Paga e corrompe chiunque sia possibile – e quelli che non può comprarsi vengono calunniati, umiliati, intimiditi e distrutti dalla sua rete attraverso una formidabile arma: i battaglioni mediatici di sinistra. Molti burocrati di alto profilo dell’UE lavorano con il network di Soros per creare un impero unificato. Vogliono costruire un sistema istituzionale che, sotto l’egida della società aperta, cerchi di imporre il pensiero unico, una cultura unica e un modello sociale unico alle nazioni libere e indipendenti d’Europa. Cercano di revocare il diritto di ogni popolo di decidere il proprio destino. Questo è anche lo scopo della loro proposta sullo “Stato di diritto”, che in realtà non riconosce lo Stato di diritto, ma di forza. Sarebbe più onesto chiamarlo “dominio della maggioranza”. Le differenze tra noi sono evidenti. Soros vuole una società aperta, mentre noi vogliamo una società sicura. Secondo lui, la democrazia può essere solo liberale, mentre noi pensiamo che possa essere cristiana. Secondo lui, la libertà può solo servire all’autorealizzazione, mentre noi crediamo che la libertà possa essere usata anche per seguire gli insegnamenti di Cristo, per servire il proprio paese e per proteggere le nostre famiglie. La base della libertà cristiana è la libertà di decidere. Questo è ora in pericolo”.

Il riferimento alla “libertà di decidere” come base della civiltà cristiana è, in altri termini, il libero arbitrio, ossia il fondamento dell’essere umano, senza il quale l’essere umano non è più umano e l’umanità non è più l’umanità.
“Noi della parte orientale dell’UE – prosegue Orban – sappiamo molto bene cosa significa essere liberi. La storia delle nazioni dell’Europa centrale è stata una lotta implacabile per la libertà contro i grandi imperi, una battaglia ripetuta per conquistare il nostro diritto di decidere i nostri destini. In prima persona abbiamo amaramente sperimentato che ogni tentativo imperiale ci ha portato alla schiavitù. Ce ne sono ancora parecchi della generazione dei combattenti per la libertà – nell’ex blocco orientale, dall’Estonia alla Slovenia, da Dresda a Sofia – che possono ricordare personalmente cosa voglia dire opporsi alla tirannia, allo Stato assoluto e alla sua versione comunista: intimidazione, rovina materiale e morale, abuso fisico e mentale. Non ne vogliamo più. I leader occidentali che hanno vissuto tutta la loro vita in un mondo dove hanno ereditato la libertà e lo stato di diritto, ora dovrebbero ascoltare coloro che hanno combattuto per la libertà e che – sulla base delle loro esperienze di vita personale – possono distinguere tra lo stato di diritto e la tirannia, o lo Stato assoluto. Tali leader occidentali devono accettare che nel 21° secolo non rinunceremo alla libertà che abbiamo ottenuto combattendo alla fine del 20° secolo. La battaglia a favore o contro il nuovo impero di Bruxelles non è ancora stata decisa. Bruxelles sembra arrendersi, ma molti stati nazionali continuano a resistere. Se vogliamo preservare la nostra libertà, l’Europa non deve soccombere al network di Soros”.

Non v’è dubbio che la lettera di Viktor Orban è un documento epocale, in quanto chiarisce gli schieramenti in campo nel mondo, esattamente come Donald Trump, e assesta un colpo mortale all’Europa dei burocrati e delle élite.

Non è, a questo punto, fuori contesto, il veto sul bilancio dell’Unione, che non è un capriccio sovranista, ma il chiaro avvertimento di una guerra in atto.

La lettera di Orban attua, nel Ppe, il partito di maggioranza in Europa, quello che Trump ha attuato nel Gop.

Dalle due sponde dell’Atlantico parte lo stesso messaggio, che riguarda l’insieme del panorama geopolitico. Riguarda il Medioriente, dove Trump ha restaurato il rapporto con i Sunniti e ha creato le condizioni della pace con Israele. Riguarda il Mediterraneo. Riguarda i Balcani, dove Trump aveva disteso i rapporti tra i serbi e i kosovari. Riguarda i rapporti con Putin.

Il licenziamento di Kissinger da parte di Trump e la lettera di Orban hanno stabilito i confini del conflitto in atto. Tertium non datur. O si sta da una parte o si sta dall’altra. Per il Conte del Grillo e i suoi sodali è un avvertimento esistenziale. Stare con i piedi in due scarpe o nelle scarpe di Bergoglio per l’Italia è esiziale.

LO SCACCHIERE GEOPOLITICO È IN FIBRILLAZIONE PER IL CONTROLLO DEL MONDO

In attesa della show down negli Stati Uniti l’assetto geopolitico del mondo è in grande movimento.

Sul fronte cinese si registrano segnali controversi.

  1. La prima notizia è che il Fondo monetario internazionale conferma che nel 2020 la Repubblica popolare cinese è l’unico Paese in crescita di Pil (2 per cento) e che nel 2021 il Pil del Dragone andrà a oltre l’8 per cento.
  2. La seconda notizia è che quindici Paesi dell’Asia-Pacifico hanno firmato un  accordo di libero scambio,visto come un’occasione per la Cina di estendere la sua influenza. Il Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep) include le 10 economie dell’Asean insieme a Cina, Giappone, Corea del Sud, Nuova Zelanda e Australia, rappresentando il 30% circa del Pil globale. Proposto per la prima volta nel 2012, l’accordo è stato siglato alla fine di un vertice dei Paesi del sudest asiatico, con diversi leader impegnati a risollevare le economie colpite dalla pandemia del Covid-19. L’India non ha firmato temendo un aumento del suo deficit commerciale con la Cina. Tra India e Cina è in atto un confronto armato.
  3. La terza notizia è che la Cina decide la chiusura verso l’esterno e lo sviluppo dei consumi interni e accaparra materie prime e energetiche, compreso un milione di tonnellate di mais. Comportamento tipico di un Paese che pensa al sopravvenire di tempi duri.
  4. La quarta notizia è l’emergere di un contrasto interno alla Cina tra l’aristocrazia rossa e i grandi capitalisti (fonte: Carlo Pelanda). Decine di grandi gruppi si ribellano alla norma cinese che “li obbliga ad obbedire al sistema di sicurezza (e di spionaggio) cinese, nonché a condividere le decisioni di strategia con un commissario politico”.
  5. Da mesi il Global Times (giornale cinese in lingua inglese) sostiene che Formosa è una provincia ribelle come Hong Cong e che deve essere portata sotto il controllo di Pechino.
  6. Xi Jinping dal palco del Congresso nazionale del popolo ha detto che “dopo i positivi sforzi di controllo dell’epidemia ora è necessario esplorare modi di addestramento e di preparazione alla guerra”.
  7. L’11 settembre, data emblematica, il direttore del Global Times, ha scritto che “la Cina deve essere pronta militarmente e moralmente a una possibile guerra”.
  8. Pechino ha appena puntato su Taiwan i suoi missili subsonici DF-17, con lunga gittata di 2.500 chilometri.
  9. La Russia ha stretto, il 6 novembre, un accordo con il Sudan per una base navale logistica, la prima attiva in Africa dal crollo dell’Unione Sovietica. La base equilibra, per quanto riguarda gli interessi della Russia, la presenza americana e cinese a Gibuti.
  10. La Russia ha consolidato le sue posizioni in Siria nella base di Tartus.
  11. La Russia si pone come punto di riferimento nell’area del Nagorno-Karabakh e ha dislocato 2.000 militari a garantire il cessate il fuoco tra Azerbaigian e Armenia.
  12. Biden ha espresso l’intenzione di associare la Georgia alla Nato.
  13. In Europa si assiste a un brusco deterioramento dei rapporti tra la Germania e i suoi partner euroasiatici (Cina e Russia), con l’intento di essere un partner nuovamente affidabile dell’Occidente. Il ministro della difesa tedesco Annagret Kramp-Karrenbauer (cristiano democratica) ha detto che l’Occidente deve far fronte alla duplice minaccia della sete di potere russa e delle ambizioni globali della Cina.
  14. In questo panorama, l’Europa è del tutto assente.
  15. L’Italia ha una politica ambigua, dovuta alla politica del Governo, chiaramente filocinese, e alla sua posizione strategica, che la lega inevitabilmente alla Nato e all’Occidente, come dimostra, se ce ne fosse bisogno, anche  il recente contratto del Pentagono a Leonardo per 36 elicotteri per l’addestramento dell’Us Navy.

Il quadro generale in movimento riguarda anche, e in primo luogo, il Medio Oriente, dove una nuova svolta Usa, condotta dall’Amministrazione Biden, nei confronti dell’Iran attirerebbe le ire di Israele e dei Sunniti, dopo che Trump ha creato le condizioni di un’alleanza israelo sunnita nell’area.

E’ del tutto evidente che un mutamento di posizione Usa nell’area troverebbe non solo l’ostilità di Israele, ma anche possibili azioni di contenimento dell’Iran. Israele ha più volte dimostrato di conoscere ogni minimo particolare di quanto avviene in Iran e di quanto avviene nei rapporti tra l’Iran e gli altri Stati del mondo. Una possibilità di realizzazione della bomba atomica iraniana potrebbe anche scatenare una guerra mediorientale dagli esiti disastrosi.

Al di là degli accordi commerciali, un’area calda rimane il Mar della Cina, dove l’attuale contenimento morbido (commerciale e tecnologico) della potenza crescente cinese, potrebbe anche sfociare in una guerra con le armi. Del resto la storia insegna che i Democratici americani, al di là delle belle parole di facciata e dei premi Nobel preventivi, sono stati i più attivi guerrafondai dal dopoguerra ad oggi.

Nell’area europea la politica Usa potrebbe rimettere in moto un confronto pericoloso con la Russia, come è stato al tempo di Obama e della Clinton e come potrebbe essere se davvero ci fosse l’intenzione di portare la Georgia nella Nato.

Un terzo teatro caldo è l’Africa, dove la Cina fa man bassa di materie prime e prepara un’invasione di uomini, come dimostrano le città fantasma costruite in questi anni. Il posizionamento della Russia in Sudan, a controllare il mar Rosso e l’accesso a Suez, significa che Putin non ha alcuna intenzione di lasciare a Cina e Stati Uniti il controllo dei mari, che è il vero punto di forza di ogni geopolitica.

In questo quadro si colloca la visita di Mike Pompeo in alcuni Paesi. Anche questa è una storia strana. Che fa Pompeo in giro per il mondo a incontrare leader che hanno già riconosciuto Biden? Cortesia? Commiati? Della serie: ”È stato un vero piacere conoscervi. Facciamo un ultimo brindisi. Ci vedremo ancora in privato. Statemi bene. Ecc. Ecc.”. Difficile pensare ad uno scenario del genere. E allora cosa avrà da sussurrare all’orecchio sinistro e destro dei leader il segretario di Stato di Trump che dice che la transizione sarà da Trump a Trump? Notizie? Suggerimenti? Password?

Una nota finale sul Bel Paese. L’Italia, in questo gioco complesso, è del tutto assente. La politica estera dello Stivale è, se ci va bene, decisa dal tacco, ma l’esecutore pare essere il vuoto assoluto. Politici e stampa sono affetti da febbre tifoide, divisi in fan club e in curve nord, incapaci di analisi che superino la dimensione del conflitto di condominio. Del resto, con il Governo giallorosso, decidere dei colori delle regioni è già uno sforzo titanico. Mentre si ridisegna il mondo, i politici italiani sono impegnati in una faida adorna di prediche moralistiche e di fervorini da oratorio. A governarci c’è il peggio del cattocomunismo straccione.

© Silvano Danesi

SANITÀ, IL GRANDE BUSINESS CON LA TESTA A WALL STREET E LE FABBRICHE IN CINA

SANITÀ, IL GRANDE BUSINESS CON LA TESTA A WALL STREET E LE FABBRICHE IN CINA

Il grande business della sanità si sta consumando sotto in nostri occhi e sulla nostra pelle, mentre siamo sottoposti al giochino informatico del semaforo di Speranza, con i suoi indicatori tecnici, sensibili alle temperie politiche,  che un algoritmo, del quale non vengono resi note le sorgenti e i criteri, decide chi è rosso, chi è arancione e chi è giallo. Il business è colossale e crea sospetti non solo di insider trading, ma anche di una strategia ben precisa che tende a influenzare le decisioni dei governi e, addirittura, secondo alcuni, le elezioni.

L’AGI, l11 novembre, ha battuto un take d’genzia con la seguente notizia: “L’amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla, ha venduto lunedì scorso il 62% delle azioni che aveva nel gruppo, guadagnando 5,56 milioni di dollari, nello stesso giorno in cui la società annunciava che il vaccino contro il Covid-19 è efficace al 90% sulla base dei risultati della sperimentazione provvisoria. È quanto emerge dal filing di Borsa. Il gruppo ha difeso Bourla dicendo che la vendita delle azioni era stato deciso lo scorso 19 agosto e faceva parte di un piano di trading condizionato al fatto che i titoli raggiungessero un certo prezzo. Fatto sta che il manager, secondo quanto affermato dalla Sec (Securities and Exchange Commission), ha venduto 132.508 azioni a 41,94 dollari per azione, il prezzo massimo da un anno. “La cessione di queste azioni fa parte della pianificazione finanziaria personale del dottor Bourla e di un piano prestabilito, che consente, in base alle regole della Sec, ai principali azionisti e ai dipendenti delle società quotate in borsa di scambiare un numero predeterminato di azioni in un momento prestabilito”, ha detto Pfizer. Il gruppo lunedì ha annunciato che il suo vaccino sperimentale contro il Covid-19 è risultato efficace per oltre il 90% sulla base dei risultati iniziali dei trial clinici, portando al rialzo del titolo (lunedì ha chiuso a +7,69% a 39,20 dollari) e risollevando tutti i mercati finanziari mondiali. Il manager ha ancora 81.812 azioni Pfizer nel suo portafoglio”.

Il fatto è che, come ha sottolineato Nathalie Colin-Oesterlé (Parlamentare europea del Ppe) a Brxelles. “La salute pubblica è diventata un’arma geostrategica che può mettere in ginocchio un continente”.

Non è un caso, ora che anche l’Istituto tumori di Milano ha stabilito che il virus cinese era in circolazione in Italia già a settembre, nel più assoluto silenzio della Cina, che Mossad e Cia siano alla caccia di un vaccino segreto cinese che avrebbe bloccato il contagio Covid-19 in Cina. La notizia è riportata da Panorama dell’11 novembre 2020 e il settimanale aggiunge: “Da aprile la pandemia nella Repubblica popolare sembra evaporata. Così da alcune settimane i servizi segreti occidentali, soprattutto Mossad e Cia, ipotizzano una spiegazione sconvolgente per la scomparsa della pandemia: nei loro rapporti si parla di vaccino segreto, particolarmente efficace, in quanto sarebbe frutto degli stessi laboratori di Wuhan dove il Covid-19 sarebbe stato sintetizzato geneticamente”. Virus e antivirus nello stesso laboratorio?

Mentre il Pil della Cina è in rapida ascesa e quello dei Paesi occidentali in rapida discesa, a fare soldi sono le società del settore farmacologico, il cui fatturato globale è qualcosa come mille miliardi di dollari, con un +6 per cento annuo negli ultimi dieci anni e fa segnare una dipendenza crescente dalla Cina.

Il  Parlamento europeo, a luglio, ha approvato una risoluzione dove si legge: “A causa della delocalizzazione della produzione, il 40 per cento dei medicinali nell’Unione proviene da Paesi terzi, il che si traduce in una perdita di indipendenza dell’Europa sul piano sanitario”.

Dal 60 all’80 per cento dei principi attivi dei medicinali è fabbricato al di fuori dell’Unione e segnatamente in Cina e in India, ma quest’ultima dipende pesantemente da materie prime e intermedi (le sostanze di sintesi) dai cinesi. Il 60 per cento di tutto il paracetamolo europeo e il 50 per cento dell’ibuprofene arriva dalla Cina. Per gli antibiotici dipendiamo al 90 per cento.

In Cina oggi si trova il 25 per cento della produzione mondiale dei principi attivi e il 60 per cento dei cosiddetti “intermedi” o “precursori”, ossia le varie sostanze che consentono la fabbricazione del prodotto finale.

All’inizio della vicenda Covid 19, come sostiene Franco Fracassi (Protocollo Contagio, Indygraf), “Shi Xinghui, direttore di una delle tante aziende cinesi che producevano mascherine FFP2 e FFP3 rivelo: «Una macchinetta per mascherine è una vera stampante per contanti. Chi produce mascherine è come se stampasse denaro. E’ l’unica valuta corrente in questo momento nel mondo».

Il fatto è che, scrive Fracassi, i “principali produttori di tessuto soffiato a fusione si trovano in Cina, India e Stati Uniti. Senza tessuto soffiato a fusione niente mascherine sanitarie e niente protezione dal coronavirus”.

La Cina è sempre di mezzo, la dietro le quinte si muovono finanza e multinazionali.

“Black Rock era fra i primi azionisti di colossi come Google, Apple o Chevron, ma anche di alcune delle più grandi case farmaceutiche planetarie: Glaxo, Novartis, Baxter, Eli Lilly, Merck, Abbot, , Bristol Meyers Squibb, Celgene, Monsanto, Gilead Science, Johnson & Johson e così via. Poi c’erano le aziende che producevano tessuto soffiato.

I tre principali produttori di mascherine, il primo dei quali era la cinese Byd, acronimo di Build Your Dreams, sotto controllo di Black Rock.

Black Rock  è una e trina con Vanguard e State Street.

“Le sovrapposizioni e gli incroci azionari – scrive Franco Fracassi (Protocollo Contagio, Indygraf) – erano intricatissimi. Ma alla fine questi gruppi apparivano dietro ogni multinazionale. Li si trovava tra gli azionisti di Alcoa, Apple, Altria, Aig, AT&T, Boeing, Caterpillar, Coca-Cola, DuPont, General Motors, Hewlett Pakard, Honeywell, Intel, Johnson$Johnson, McDonald’s, Merrk, £M, Gsk, Pfizer, United technologies, Verizon, Wal-Mart, Monsanto, Time Werner, Walt Disney, Viacom, Rupert Murdoch’s News, Cbs, Nbc, Universal, Facebook, Amazon, Google, Microsoft, solo per citare le più note”.

In Italia il plenipotenziario di tutto quanto gira attorno alla vicenda Covid-19 e agli inevitabili provvedimenti sanitari è Domenico Arcuri, chiamato da Giuseppe Conte al ruolo, complicato e delicatissimo, di commissario straordinario per l’emergenza sanitaria creata dal  coronavirus. 

© Silvano Danesi

E’ IN ATTO UN PIANO STALINAZISTA DI IMPOVERIMENTO GLOBALE E DI ELIMINAZIONE DEL CETO MEDIO E DEL WELFARE.

L’armata del Conte del Grillo, novello Brancaleone da Norcia, carnascialesca compagine di Governo italiano, è il terminale tragicomico di una strategia mondiale che prende le mosse dalla svolta del 2001, quando Bill Clinton, lo stesso che ha cambiato le regole bancarie togliendo i limiti all’attività speculativa, ha dato il via libera all’ingresso della Cina nel Wto (World trade organisation).

Con quella svolta la delocalizzazione ha avuto modo di accasarsi nella globalizzazione, consentendo alla finanza internazionale di concludere un accordo con il regime cinese, dotato di un miliardi e 400 milioni di persone, da mettere a produrre con ritmi e modalità da schiavitù.

L’ingresso della Cina nel Wto è solo l’ennesimo passo di una strategia, ormai quarantennale, fatta di passaggi successivi.

Primo passo: la fine di Bretton Woods.

L’origine della crisi finanziaria del 2008 nasce dalla fine del regime di Bretton Woods nel 1971, quando i paesi occidentali hanno progressivamente adottato i dettami di quello che viene chiamato neoliberismo, con la liberalizzazione dei commerci, l’eliminazione di limiti ai movimenti di capitali, l’indipendenza delle banche centrali dai governi e così via.

Nixon liquidò nell’agosto del 1971 il sistema di Bretton Woods, cioè l’ancoraggio del dollaro all’oro, per potere creare tutta la massa monetaria senza impicci. Nel 1971 finì per l’unica moneta internazionale, il dollaro, la disciplina dell’oro.

I provvedimenti più significativi all’origine della bolla finanziaria sono tuttavia frutto, va ricordato, della politica di Clinton: la legge Gramm-Leach-Bliley del 1999 (che aboliva la legge Glass-Steagall del 1933, non ponendo più limiti all’attività speculativa di banche commerciali e di banche d’investimento); il Commodity Futures Modernization Act del 2000 (che sottraeva quasi per intero i prodotti finanziari “derivati” alla regolamentazione e sorveglianza degli organi di vigilanza).

La fine dell’aggancio con l’oro e con il dollaro costringe a trovare una nuova “àncora” per il valore della moneta. Gli economisti, guidati da Milton Friedman, fanno sì che, per combattere l’inflazione, le banche centrali aumentino i prezzi.

Secondo passo: perdita di potere dei sindacati.

La disoccupazione che consegue alla strategia di Friedman è il primo tassello di un processo che negli anni Ottanta porta alla drastica riduzione del potere dei sindacati in tutto il mondo occidentale. La conseguenza è che sì, l’inflazione si riduce, ma con essa anche la capacità dei lavoratori di conquistare salari più alti per godere anch’essi dei benefici dell’accresciuta produttività. Mentre quest’ultima continua a crescere, il potere d’acquisto dei lavoratori rimane indietro. Si può produrre sempre di più, ma non si ha il denaro per comprare.

Terzo passo – La Cina nel Wto

Come già ricordato nel 2001 Bill Clinton, lo stesso che ha cambiato le regole bancarie togliendo i limiti all’attività speculativa, dà il via libera all’ingresso della Cina nel Wto (World trade organisation).

Quarto passo: la finanza “creativa” prende il sopravvento.

Perché non si innesca quella che gli economisti chiamano “crisi da sottoconsumo”? La risposta è duplice. Ronald Reagan, che era stato eletto con l’obiettivo di ridurre il deficit pubblico, lo lascia crescere a dismisura attraverso i tagli alle tasse, la corsa agli armamenti, ma anche la spesa sociale. Sarà invece “la sinistra”, quella di Bill Clinton, a dimostrarsi più coerente con il liberismo, riportando il bilancio federale addirittura in attivo dopo molti decenni di deficit. Il disavanzo del settore pubblico viene sostituito da quello del settore privato. Se i redditi da lavoro non bastano è il credito e la finanza a divenire la nuova fonte di domanda autonoma. La “new economy” è la nuova corsa all’oro. Tutti comprano azioni, il casinò dei mercati finanziari diviene popolare.

Quinto passo: sostituire il reddito da lavoro con il credito.

La politica liberista crea una bolla finanziaria enorme. La roulette del debito privato e dei derivati gira fino a creare una bolla che vale 33 volte il Pil mondiale: 2,2 milioni di miliardi di dollari. Il debito privato diviene via via sempre più gigantesco, anche da questa parte dell’oceano, per non parlare delle cosiddette “tigri asiatiche” e del Giappone. Anche qui, il ruolo dello Stato è tutt’altro che marginale. La bolla immobiliare è stata infatti alimentata non solo e non tanto dai bassi tassi di interesse decisi dalla Federal Reserve, la banca centrale statunitense, ma soprattutto dalle politiche per la casa. Se il salario non permette di accrescere il benessere famiglia, ci pensa l’accesso al credito. Le classi sociali, nella narrativa dei liberisti “progressisti”, vengono sostituite da due categorie di agenti economici: quelli con un facile accesso al credito, capaci di programmare quindi la loro vita nel lungo periodo, e quelli vincolati dalla liquidità. Questi ultimi, i poveri, vanno aiutati non assicurando loro salari decenti e neppure con la fornitura diretta di servizi sociali da parte dello Stato, ma con politiche che permettano loro di indebitarsi facilmente.

Il governo giallo rosso in linea con il liberismo dei Dem americani

In questo ambito si collocano ora le politiche assistenzialistiche del reddito di cittadinanza, la raffica dei bonus, l’idea di un reddito minimo universale: tutti provvedimenti che sostituiscono il reddito da lavoro, in una situazione politica italiana che penalizza il ceto medio, le imprese, le partite Iva. Garantiti i dipendenti pubblici e gli affini, con un aumento del deficit dello Stato, si distrugge il reddito d’impresa e di lavoro, creando una progressiva dipendenza di masse impoverite.

La politica del Governo del Conte Grillo è, pur nella sua versione da caravanserraglio di competenti, consulenti, suggeritori e politici di scarso valore, la coerente sottomissione alla logica liberista dela capitale finanziario.

Sesto passo: il Grande Reset della bolla finanziaria e il lockdown

La bolla finanziaria con i suoi prodotti tossici collocati nei forzieri delle banche, per poter essere smaltito prevede un reset mondiale, possibile solo con una guerra, che oggi non è più possibile scatenare con le armi, pena la distruzione del pianeta, ma è possibile secondo lo schema della guerra senza limiti teorizzata da due colonnelli cinesi nel 1996 e resa nota nel 1999.

Il Covid è la conseguenza di questa guerra senza limiti. Nato in un laboratorio cinese e diffuso nel mondo per colpa dei silenzi del regime nazicomunista che governa il Dragone, ha trovato nell’Oms un valido alleato negazionista, fino a quando non si è infettato il mondo intero.

Il WEF (World economico forume) e i suoi protagonisti (che rappresentano la “ricchezza”) dietro le quinte hanno approfittato del COVID per giustificare un lockdown totale delle persone e dell’economia mondiale. Ciò è accaduto praticamente simultaneamente in tutto il mondo in quasi tutti i 193 paesi membri dell’ONU.

Le poche eccezioni includono Svezia e Bielorussia. Questo potente obbligo al lockdown, istigato «dall’alto», molto al di sopra dei governi e delle Nazioni Unite, e con un’autorità cooptata come l’OMS, ha messo in ginocchio l’economia mondiale, ad eccezione di quella cinese, in meno di 6 mesi.

Oggi il tutto prosegue in nome della trasformazione “Green”, che appare sempre più come una copertura ideologica per nascondere il vero scopo: far scomparire la bolla finanziaria in un lago di sangue economico dei ceti produttivi, ai quali si promettono soldi in cambio di arresto delle attività.

Sia il World Economic Forum (WEF) che il FMI parlano di un «grande reset» mondialee indirizzano un gran numero di risorse dal basso a favore di una piccola élite, attraverso la schiavitù del debito – promuovendo un passaggio dal capitalismo dei consumial capitalismo green– e tutto con un contributo ideologico del papa cattolico, il quale ha scritto, dopo la Laudati sì, l’enciclica “Fratelli tutti”, un documento sociologico e politico che ha tutte le caratteristiche del manifesto di un partito comunista utopistico globalista, allineato con le tesi del pensiero unico del globalismo finanziario internazionale.

Settimo passo: il supporto ideologico della linea di papa Francesco

Bergoglio è un papa geopolitico, con una linea antioccidentale che diventa “instrumentum” dell’egemonia cinese e che predica la sottomissione al sultano.

Bergoglio è il papa di un pauperismo comunitario che, con l’eliminazione della proprietà privata e dei confini, si allinea alla strategia globalista del potere finanziario.

Bergoglio, non a caso, piace alla sinistra che, abbandonati i temi della giustizia sociale e dei lavoratori, la cultura del lavoro, l’alleanza tra classe operaia e ceto medio, si è volta verso i diritti civili e sessuali, trasformando il comunismo proletario in radicalismo politically correct.

Ottavo passo: l’eliminazione degli anziani e del welfare.

Nel 2019 Grillo ipotizzava di togliere il voto agli anziani. Ora gli anziani sono da “tutelare”, come fossero dei minus, mettendoli ai domiciliari e privandoli di ciò che più è loro necessario: aria, sole, movimento. È in atto una strategia volta a rendere gli anziani, nella coscienza collettiva, merce di scarto di cui disfarsi.

L’idea del confinamento degli anziani non è nuova. Il 12 aprile la Signora Europa Von der Leyen, la esternava, come riporta l’Eco di Bergamo, asserendo che gli anziani dovevano stare a casa fino a Natale..

Ad aprile il super tecnico del Governo giallorosso italiano, Colao, uno dei tanti desaparecidos del carnevale viaggiante delle molto tasche force del Conte del Grillo e del suo esimio comunicatore, avanzava l’ipotesi di blindare addirittura gli over Sessanta.

Il disegno, velato dall’ipocrisia, è uscito allo scoperto in Olanda, come ha denunciato in un’intervista il cardinale olandese Willem Jacobus Eijk al sito insideover.it.

«In Olanda – ha detto Willem Jacobus Eijk  – vi è resistenza in ampi settori contro un disegno di legge sulla cosiddetta ‘vita compiuta’. Questo disegno implica che la gente con una età superiore a quella di 75 anni, di per sé non malata, ma sana, convinta che la sua vita non abbia più un senso e sia perciò «compiuta», possa chiedere il suicidio assistito. Il limite di 75 anni suggerisce che la vita perda il suo valore essenziale da questa età. Contro questo disegno di legge esiste una forte resistenza, animata da gruppi diversi nella società, fra cui la maggior parte dei medici, psichiatri, con l’associazione nazionale dei medici olandesi in prima fila». Nell’intervista, firmata da Francesco Boezi, il cardinale Eijk colloca questo diritto olandese all’eutanasia in quella «cultura della morte» contro la quale Giovanni Paolo II si schierò con l’enciclica Evangelium vitae. L’eutanasia, in Olanda, è regolata per legge da tempo. «Ora siamo alla tappa seguente: l’introduzione del suicidio assistito per chi è sano, ma considera la propria vita compiuta», dice il cardinale Ejik. Eppure, come lui stesso ha ricordato in una precedente intervista a Tempi, «una commissione istituita dal governo olandese, dopo un’ampia indagine, aveva concluso che la legge vigente sull’eutanasia funziona bene e non c’è bisogno di cambiarla. Le persone anziane che vorrebbero usufruire del suicidio assistito anche se non sono malate, ma soltanto perché considerano la loro vita “compiuta”, possono già avvalersi della legge vigente».

La cultura della morte e dello scarto avanza nel Paese dove le multinazionali hanno collocato le loro sedi, con una coincidenza che fa pensare, ancora di più, all’Olanda come avanguardia di un progetto da tempo studiato.

Gli anziani sono come gli ebrei del Medioevo, che venivano accusati di essere gli untori di tutte le malattie, peste compresa.

Lo stalinazismo opera con determinazione, mutando il volto di un’Europa faro di civiltà in un’Europa mostro di inciviltà.

© Silvano Danesi