I RASOI DI TRUMP E DI ORBAN CHIARISCONO GLI SCHIERAMENTI DELL’AGONE MONDIALE

Di Silvano Danesi

Tump ha spezzato l’asse Bush- Clinton e ha messo in chiaro gli schieramenti in campo nella guerra mondiale “senza confini” in atto. Orban ha chiarito gli schieramenti europei. Tutto non è come prima.

Siamo nella terza guerra mondiale, una guerra “senza limiti”, descritta in un libro della fine degli anni Novanta da due ufficiali cinesi: Quiao Liang e Wang Xiangsui (Guerra senza limiti – L’arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione).

E’ una guerra che si gioca sul piano dell’hard power, del soft power, dell’economia, della finanza, delle armi vere e proprie, di quelle batteriologiche e della tecnologia.

In questa guerra senza limiti il virus, nato nei laboratori cinesi e tenuto nascosto dalla Cina per mesi,  oggettivamente ha disastrato le economie occidentali, mentre quella cinese si è subito ripresa, viaggia con un Pil in crescita consistente e il Dragone, mentre l’Occidente era bloccato dai lock down ha allargato la sua influenza nei settori strategici delle materie prime. Questo è un fatto.

La pandemia ha messo in chiaro, con un’evidenza ormai incontestabile, che esistono cartelli che intendono governare il mondo, riducendo la sovranità degli Stati, trasformando i popoli in un esercito di consumatori e eliminando il ceto medio produttivo a tutto favore delle multinazionali e della finanza internazionale.

La narrazione della pandemia, avendo come obbiettivo la riduzione della democrazia, ha messo in evidenza come l’uso dei media sia ormai sottoposto al controllo del cartello pubblicitario, che detta le regole e indica i contenuti e le modalità dell’informazione.

Le migrazioni pilotate hanno reso evidente un progetto di sostituzione etnica.

Il pensiero unico delle élite ha messo in evidenza il progetto di eliminare alcuni dei fondamenti dell’umanità e di instaurare un relativismo esistenziale dove tutto è fungibile e trasformabile.

L’uso della tecnologia ha rivelato il suo retroterra cosmista e transumanante.

Dietro a queste evidenze, sempre più evidenti e cogenti, a tal punto da mettere in discussione la libertà individuale e di pensiero, la socialità, i rapporti inter umani, c’è la strategia di pochi che, sulla base di un accumulo enorme di ricchezza, pensano di poter governare il pianeta secondo i criteri di un totalitarismo feudale mascherato da filantropia.

Al blocco del Filantropo si è accodata un parte della Chiesa cattolica, dopo le dimissioni “spintanee” di Papa Benedetto XVI e la nomina di Jorge Mario Bergoglio, fortemente voluta dal Gruppo di san Gallo, la cui linea politica è in sintonia con quella delle élite mondialiste.

L’entrata sulla scena politica di Donald Trump ha ulteriormente evidenziato la presenza di due mondi che si contrappongono: da una parte quello globalista e mondialista delle élite finanziarie del nuovo feudalesimo, che scambiano la protezione con la cessione di sovranità e di libertà; dall’altro quello dell’alleanza tra produttori, della sovranità degli Stati, del rapporto tra Stati e nazioni basato sulla reciprocità.

Lo scontro attuale in atto negli Usa è il frutto di questo chiarimento trumpiano degli schemi a confronto. Un chiarimento che ha spezzato la trasversalità precedente tra Democratici e Repubblicani e che è stato reso evidente in questi giorni da uno dei fatti più eclatanti della sua presidenza: il licenziamento di Henry Kissinger e di tutto il comitato per la politica di difesa del Pentagono.

In pratica Trump ha licenziato l’artefice della liaison dangereuse tra il blocco dei Bush e quello dei Clinton. Una liaison  che aveva creato un asse trasversale delle élite finanziarie che ha prodotto la delocalizzazione produttiva in Cina, il disastro mediorientale, il globalismo e il pensiero unico politicamente corretto che è il soffocamento della libertà.

Una pulizia mai vista. La pulizia riguarda gli uomini dei Bush e dei Clinton, a dimostrazione che è un in atto uno scontro colossale.

Gli 11 consiglieri  sono gli ex segretari di Stato Henry Kissinger e Madeleine Albright, l’ammiraglio in pensione Gary Roughead, che ha servito come capo delle operazioni navali, Jane Harman, un tempo membro di rango del Comitato per i servizi segreti della Camera, Rudy de Leon, un ex direttore operativo al Pentagono. Rimossi anche l’ex leader della maggioranza alla Camera Eric Cantor e David Mc Cormick, un ex sottosegretario del Dipartimento del Tesoro durante l’amministrazione di George W. Bush. Rimossi Jamie Gorelick, un vice procuratore dell’amministrazione Clinton e Robert Joseph, un capo negoziatore nucleare statunitense che ha convinto la Libia a rinunciare alle armi di distruzione di massa. Estromesso anche l’ex vice consigliere per la sicurezza nazionale di Bush JD Crouch II e Franklin Miller, un ex alto funzionario della difesa.

Esclusi, infine, l’ambasciatore Paula Dobriansky e l’ex senatore James Talent, R-Mo

La mossa di Trump spezza l’asse tra il Gop dei Bush e il clan Clinton e rende ulteriormente evidenti i confini dei due schieramenti in campo e non è una mossa di breve respiro, ma uno spartiacque destinato a durare nel tempo. Trump ha trasformato il Gop da partito dei conservatori a partito dei produttori, rendendo evidente che i Dem sono il partito della finanza.

In questa dinamica di chiarimento mondiale si colloca la lettera del primo ministro ungherese Viktor Orban al finanziere Soros, che trascina sul proscenio i manovratori occulti.

Ecco cosa scrive Orban: “Molti credono che il primo ministro di un Paese non debba entrare in discussione con George Soros. La loro argomentazione riguarda il fatto che Soros sia un criminale economico, perché ha fatto i soldi attraverso la speculazione, rovinando la vita di milioni di persone e persino ricattando intere economie nazionali. Affermano che così come i governi non devono negoziare con i terroristi, allo stesso modo i primi ministri non debbano discutere con i criminali economici. Eppure ora sono costretto a farlo, perché in un articolo apparso sul sito di Project Syndicate il 18 novembre, lo speculatore e miliardario di origine ungherese George Soros ha esplicitamente impartito ordini ai leader dell’Unione europea. Nel suo articolo dà loro istruzioni su come punire severamente quegli Stati membri che non vogliono entrare a far parte di un impero europeo unificato sotto la bandiera di una “società aperta” globale. Nel corso della storia, le nazioni dell’Europa hanno sempre rappresentato la sua forza. Sebbene di origini diverse, le nazioni europee hanno condiviso le radici comuni della nostra fede. Il fondamento delle nostre comunità è stato il modello familiare europeo, che a sua volta si basa sulle tradizioni giudaico-cristiane. È stata la libertà cristiana a garantire la libertà di pensiero e di cultura e a creare una concorrenza positiva tra le nazioni del continente. Questa magnifica fusione di contrasti ha reso l’Europa la potenza leader del mondo attraverso secoli di storia.
Ogni tentativo di unificare l’Europa sotto l’egida di un impero è fallito. Così l’esperienza storica ci dice che l’Europa tornerà ad essere grande se le sue nazioni diventeranno di nuovo grandi e resisteranno ad ogni forma di ambizione imperiale. Ancora una volta, potenti forze si stanno muovendo per sradicare le nazioni d’Europa e unificare il continente sotto l’egida di un impero globale. Il network di Soros, che è penetrato nella burocrazia europea e nella sua élite politica, lavora da anni per rendere l’Europa un continente di immigrati. Oggi il network di Soros, che promuove una società globale aperta e cerca di abolire i contesti nazionali, è la più grande minaccia che gli stati dell’Unione Europea abbiano mai affrontato. Gli obiettivi del network sono evidenti: creare società aperte multietniche e multiculturali accelerando le migrazioni, e smantellare il processo decisionale nazionale, mettendolo nelle mani dell’élite globale”.

Viktor Orban, con la sua lettera, mette in chiaro, in Europa, come ha fatto Donald Trump in America, che i due schieramenti in essere sono: da una parte l’Europa dei burocrati e delle élite asserviti a Soros, alla finanza e al globalismo e, dall’altra, l’Europa dei popoli e delle nazioni, dell’economia reale, delle radici.
“L’Unione Europea  – afferma ancora Orban – continua a vivere molte difficoltà: dal 2008 una crisi economica di proporzioni mai viste da generazioni; dal 2015 una crisi migratoria; e nel 2020 una devastante pandemia globale. L’Europa non si è ancora ripresa dalle sue precedenti crisi, quindi l’impatto della pandemia di coronavirus ha il potenziale per indurre una crisi addirittura superiore alle precedenti. Ci sono già segnali evidenti: in molti paesi il debito pubblico, i tassi di disoccupazione e la situazione economica generale hanno raggiunto dei livelli critici. La necessità di una solidarietà europea, di nazioni europee che si uniscano per aiutarsi a vicenda, non è mai stata così forte.
Durante tutte queste crisi, lo speculatore – che si definisce filantropo – non ha considerato gli interessi dei cittadini europei, ma ha agito a proprio vantaggio. Come dimenticare quando attaccò il fiorino ungherese e la più grande banca ungherese durante la crisi economica, e quando pianificò di accelerare, distribuire e finanziare il reinserimento degli immigrati durante la crisi migratoria; e ora propone che gli Stati membri si puniscano a vicenda, invece di promuovere la solidarietà e l’assistenza reciproca”.

L’accenno al filantropo evoca il Filantropo di Soloviev e colloca il filantropismo dei finanzieri nella giusta accezione.
“Il network diretto da George Soros – accusa Orban – ora nemmeno esita più ad esercitare un’ingerenza evidente. Vuole mettere più pressione che mai sugli Stati nazionali. Sta mettendo i popoli d’Europa l’uno contro l’altro. Il sistema operativo del suo network è labirintico ed è presente in vari scenari della vita pubblica. Sul libro paga di George Soros c’è una lunga lista di politici, giornalisti, giudici, burocrati e agitatori politici mascherati da membri di organizzazioni della società civile. E sebbene il miliardario accusi tutti i suoi nemici di corruzione, lui stesso è l’uomo più corrotto del mondo. Paga e corrompe chiunque sia possibile – e quelli che non può comprarsi vengono calunniati, umiliati, intimiditi e distrutti dalla sua rete attraverso una formidabile arma: i battaglioni mediatici di sinistra. Molti burocrati di alto profilo dell’UE lavorano con il network di Soros per creare un impero unificato. Vogliono costruire un sistema istituzionale che, sotto l’egida della società aperta, cerchi di imporre il pensiero unico, una cultura unica e un modello sociale unico alle nazioni libere e indipendenti d’Europa. Cercano di revocare il diritto di ogni popolo di decidere il proprio destino. Questo è anche lo scopo della loro proposta sullo “Stato di diritto”, che in realtà non riconosce lo Stato di diritto, ma di forza. Sarebbe più onesto chiamarlo “dominio della maggioranza”. Le differenze tra noi sono evidenti. Soros vuole una società aperta, mentre noi vogliamo una società sicura. Secondo lui, la democrazia può essere solo liberale, mentre noi pensiamo che possa essere cristiana. Secondo lui, la libertà può solo servire all’autorealizzazione, mentre noi crediamo che la libertà possa essere usata anche per seguire gli insegnamenti di Cristo, per servire il proprio paese e per proteggere le nostre famiglie. La base della libertà cristiana è la libertà di decidere. Questo è ora in pericolo”.

Il riferimento alla “libertà di decidere” come base della civiltà cristiana è, in altri termini, il libero arbitrio, ossia il fondamento dell’essere umano, senza il quale l’essere umano non è più umano e l’umanità non è più l’umanità.
“Noi della parte orientale dell’UE – prosegue Orban – sappiamo molto bene cosa significa essere liberi. La storia delle nazioni dell’Europa centrale è stata una lotta implacabile per la libertà contro i grandi imperi, una battaglia ripetuta per conquistare il nostro diritto di decidere i nostri destini. In prima persona abbiamo amaramente sperimentato che ogni tentativo imperiale ci ha portato alla schiavitù. Ce ne sono ancora parecchi della generazione dei combattenti per la libertà – nell’ex blocco orientale, dall’Estonia alla Slovenia, da Dresda a Sofia – che possono ricordare personalmente cosa voglia dire opporsi alla tirannia, allo Stato assoluto e alla sua versione comunista: intimidazione, rovina materiale e morale, abuso fisico e mentale. Non ne vogliamo più. I leader occidentali che hanno vissuto tutta la loro vita in un mondo dove hanno ereditato la libertà e lo stato di diritto, ora dovrebbero ascoltare coloro che hanno combattuto per la libertà e che – sulla base delle loro esperienze di vita personale – possono distinguere tra lo stato di diritto e la tirannia, o lo Stato assoluto. Tali leader occidentali devono accettare che nel 21° secolo non rinunceremo alla libertà che abbiamo ottenuto combattendo alla fine del 20° secolo. La battaglia a favore o contro il nuovo impero di Bruxelles non è ancora stata decisa. Bruxelles sembra arrendersi, ma molti stati nazionali continuano a resistere. Se vogliamo preservare la nostra libertà, l’Europa non deve soccombere al network di Soros”.

Non v’è dubbio che la lettera di Viktor Orban è un documento epocale, in quanto chiarisce gli schieramenti in campo nel mondo, esattamente come Donald Trump, e assesta un colpo mortale all’Europa dei burocrati e delle élite.

Non è, a questo punto, fuori contesto, il veto sul bilancio dell’Unione, che non è un capriccio sovranista, ma il chiaro avvertimento di una guerra in atto.

La lettera di Orban attua, nel Ppe, il partito di maggioranza in Europa, quello che Trump ha attuato nel Gop.

Dalle due sponde dell’Atlantico parte lo stesso messaggio, che riguarda l’insieme del panorama geopolitico. Riguarda il Medioriente, dove Trump ha restaurato il rapporto con i Sunniti e ha creato le condizioni della pace con Israele. Riguarda il Mediterraneo. Riguarda i Balcani, dove Trump aveva disteso i rapporti tra i serbi e i kosovari. Riguarda i rapporti con Putin.

Il licenziamento di Kissinger da parte di Trump e la lettera di Orban hanno stabilito i confini del conflitto in atto. Tertium non datur. O si sta da una parte o si sta dall’altra. Per il Conte del Grillo e i suoi sodali è un avvertimento esistenziale. Stare con i piedi in due scarpe o nelle scarpe di Bergoglio per l’Italia è esiziale.

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