Il druidismo religione ufficiale in Inghilterra

La “Charity Commission” britannica, l’ente governativo incaricato di regolare tutte le pratiche religiose nel Regno Unito, ha stabilito che l’adorazione dei druidi per gli spiriti che pervadono il mondo della natura può aspirare allo status di vera e propria religione.

La svolta arriva migliaia di anni dopo la comparsa del culto dei druidi in Gran Bretagna, la prima pratica spirituale di cui si abbia memoria nel Regno Unito. Ma dell’adorazione per gli spiriti della natura vi è traccia in tutte le comunità celtiche che si insediarono in Europa. Con il lento ma inarrestabile declino delle fedi tradizionali, il druidismo sta vivendo la più significativa fase di rinascita dall’avvento del Cristianesimo.

Dopo un’indagine durata quattro anni, la Charity Commission ha concluso che il druidismo fornisce un insieme di pratiche coerenti e strutturate per l’adorazione di un essere supremo e che queste sortiscono un impatto morale benefico sulla comunità dei fedeli.  Estratto da La Stampa – 2.10.2010

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Il vescovo dialoga con i druidi

A proposito di radici d’Europa, da un articolo di La Repubblica del 6 agosto 2002 si apprende che, dal 5 agosto 2002, quando era in attesa della no­mina ufficiale a capo della Chie­sa Anglicana, Rowan Williams, vescovo di origine gallese, può vantarsi del titolo onorario di “druido” del Gorsedd of the Bards. Una scelta seguita da una pioggia di polemiche dei più conservatori che non gradiscono i riti dal sa­pore pagano. La stam­pa inglese ha criticato la decisione di Wil­liams suscitando a sua volta l’ira dei gallesi, sorpresi che il più im­portante festival cul­turale di Eisteddfod venisse confuso con una sorta di rito paga­no. I gallesi hanno in­terpretato le reazioni inglesi come l’ennesima manifestazione della superiorità culturale dell’Inghilterra sul Galles. Williams infatti ha ri­cevuto questa carica proprio per aver onorato le sue origini con studi approfonditi sui poeti e sugli scrittori gallesi. Ma la decisione di accettare la nomi­na a druido è stata subito eti­chettata come “anomala”, so­prattutto dai vescovi che già lo ritenevano poco adatto a rap­presentare la Chiesa Anglicana. In ogni caso, il 5 agosto 2002 il futuro ca­po della Chiesa d’Inghilterra di origine gallese si è immerso in un mondo fatto di preghiere dell’era precristiana e forte­mente influenzato dalla tradizione celtica. Si è re­cato a Saint David, nella zona ovest del Galles, e ha parteci­pato alla cerimonia ufficiale d’investitura di membro del Gor­sedd of the Bards, so­cietà letteraria fonda­ta nel 1792. In mezzo ad un cerchio di sassi e ad altri adepti vesti­ti e incappucciati di bianco, si è tolto la ve­ste clericale per indossare corona, spada e costume da druido. Da La Repubblica 6 agosto 2002

Riconosciuto il culto di Odino

Dal 6 novembre 2003, la Danimarca ha deciso di riconoscere ufficialmente i 240 membri di Forn Sidr («Gli usi antichi»), co­me membri di una comunità religiosa a tutti gli effetti. Con la conseguenza che i seguaci di Thor e Odino possono celebrare ma­trimoni con i loro riti, che hanno pieno va­lore legale, e godono anche dell’esenzione dalle tasse, riconosciuta alle altre 90 comuni­tà religiose danesi. Il ministro della Chiesa (evangelica lutera­na), il sacerdote Tove Fergo, ha firmato il de­creto che sancisce la fine della messa al ban­do proprio di giovedì, giorno della settima­na che in danese è «Torsdag», ovvero il gior­no di Thor. Oltre al dio del tuono, i seguaci venerano anche il padre Odino — dio della guerra, della poesia, della saggezza e della morte — e la madre Freja, dea dell’amore e della bellezza. In Islanda e in Norvegia il culto di Odino è riconosciuto da tempo. In Danimarca una richiesta formale di riconoscimento era stata avanza­ta nel 1999. Il ministro l’ha accolta dopo il parere posi­tivo di una commissione, in nome della «libertà reli­giosa».

Forn Sidr non è una associazione religiosa tradizionale: «I rapporti con Dio sono stretta­mente personali — è scritto in un documento — lasciamo volentieri il dogmatismo ai mo­noteisti. Non desideriamo salvare il mondo né le persone. Chi vuole essere salvato fareb­be meglio a scegliere un’altra strada. E d’al­tronde, nel caso in cui uno non voglia essere salvato, sarebbe un crimine intervenire». Il culto non prevede proselitismo, né strut­ture gerarchiche, né «gurw». Ci sono quattro riti: la primavera, il solstizio d’inverno e d’estate e il matrimonio. Le cerimonie si svol­gono in luoghi sacri, dove gli adepti si pongo­no in circolo e fanno girare il corno, che è il loro simbolo. I neonati non vengono battezza­ti, ma toccati sul ginocchio per segnalare la loro accettazione da parte della comunità. «Gli adepti di questo credo — spiega la sacer­dotessa Jacobsen — sono persone normali e moderne. Alcuni credono in queste divinità fisicamente. Io credo piuttosto in loro come una specie di forze naturali interne ed ester­ne». Da Corriere della Sera – Venerdi 7 Novembre 2003 –

Attenzione al nazi-islamismo

Fiamma Nirenstein (Il Giornale del 5 febbraio 2012) scrive che il “mondo europeo e americano, dopo essersi dichiarato a iosa colpevole di non aver capito nulla, di non aver saputo prevedere le rivoluzioni arabe, adesso cerca una pericolosa scorciatoia: individuare nei Fratelli Musulmani, i grandi vincitori dello scuotimento, un interlocutore plausibile, aperto, perfino moderato. Basta frequentare le riunioni (recentemente per esempio quella delle commissioni estere convocata dall’UE) in cui si discutono i futuri rapporti con i nuovi poteri, per capire che il maggiore desiderio dei funzionari e dei politici addetti è avviare subito il previsto nuovo «piano Marshall» che dovrebbe aiutare lo sviluppo della democrazia. Non importa se dopo la mancata «primavera araba» aiuteremo la «primavera islamista».

A questo proposito va notato che i Fratelli Musulmani, fondati nel1928 inEgitto, dopo il collasso dell’Impero Ottomano, sono contrari alla secolarizzazione dell’Islam, hanno come riferimento la Jihād e sono stati molto influenzati da Hag Amin Al Husny, muftì di Gerusalemme nel 1921 e, dopo la caduta dell’Impero Ottomano, alleato di Hitler. Nel 1941 lo troviamo a Berlino a sostenere la “soluzione finale” e a incitare i musulmani ad arruolarsi nelle file del Reich.

Dopo la guerra l’ex muftì nazista rinsaldò i rapporti con Sayyid Qutb e Haran al Bannah, rispettivamente teorico e fondatore dei Fratelli Mussulmani e pose sotto la sua ala protettiva Yasser Arafat.

Hag Amin Al Husny considerava l’Olocausto una macchinazione ebraica. Il negazionismo islamico ha dunque basi precise.

In Turchia il Main Kampf e i Protocolli dei Savi di Sion sono best seller, come in altri paesi islamici.

Su questa nazificazione dell’Islam nessuno riflette, anzi, si tende ad iscrivere i Fratelli Musulmani ad un orizzonte di sinistra terzomondista e di libertà dei popoli.

I Fratelli Musulmani, aggiunge Fiamma Nirenstein, “non si cambiano, non si comprano, non si dividono. E sono una forza abituata da una lunga tradizione a fare prudenti, cautissimi conti con amicizie e inimicizie alterne, ma alla fine sempre con l’occhio al califfato mondiale. È dal 1938 che lo ripetono col loro fondatore Hassan Al banna: «Allah è il nostro obiettivo, il Profeta il nostro leader, il Corano la nostra legge, la Jihad la nostra strada, morire sulla strada di Allah la nostra più grande speranza»”.

“Yussef Al Qaradawi – scrive ancora Fiamma Nirenstein – lo stesso clerico che ha cacciato i bloggers da piazza Tahrir, disse durante la guerra in Iraq che per i musulmani era un obbligo morale uccidere i cittadini americani. Hamas ha appena riaffermato la necessità religiosa di uccidere gli ebrei e combattere l’Occidente cristiano, e le promesse di stragi trovano conferma nell’appartenenza e varie branche della Fratellanza (come Al Qaeda) dei maggiori terroristi: Bin Laden, Ayman al Zawahiri, Khalid Sheich Muhammed, Anwar al Awlaki, lo sceicco Yassin, vengono tutti di là. Ma che fare dunque, si chiede l’Europa? Essi sono comunque ovunque, con sfumature nazionali diverse, i grandi vincitori della rivoluzione. Un’Internazionale grandiosa sostituirà il panarabismo dal Marocco al Golfo. La loro vittoria in Egitto, Fratelli e Salafiti al 75 per cento del parlamento, in Tunisia (con Ennahda, certo dal volto più umano, ma dal carattere integralista evidente), in Libia dove Al Qaeda è in agguato come anche in Yemen, pronti alla lotta in Giordania, ingaggiati in una disperata battaglia (insieme ad altre forze) contro il dittatore Assad in Siria, sapientemente ingaggiati in una larga diplomazia da parte della Turchia, essi hanno al momento senz’altro superato largamente l’asse sciita, costituita dall’Iran, la Siria, il Libano degli hezbollah. L’Arabia saudita naturalmente gioisce. Intanto Hamas, mentre cambia casa lasciando Damasco, segnala che il fronte sunnita della Fratellanza è quello prescelto”.

“I sensi di colpa, molto ben basati, per avere per decenni sostenuto dittatori che hanno schiacciato i popoli musulmani – conclude Fiamma Nirenstein – ci portano oggi verso il sostegno di una forza che farà indossare il velo alle donne, opprimerà le differenze sessuali e politiche, aggredirà la pace con Israele”.

Forse è ora di aprire gli occhi e di non agire sempre pensando solo agli interessi economici e finanziari. Dobbiamo pensare alle generazioni future, che non meritano un nuovo medioevo di intolleranza sotto il nazi-islamismo.

Invasione islamica. Bavaglio all’Europa

Da il Giornale 20 febbraio 2012 – Magdi Critiano Allam

 Aiuto! L’invasione islamica è ormai una realtà. A sfondare la fragilissima prima linea valoriale e identitaria dell’Occidente è stata la potente armata dei taglia-lingua nel nome di Allah.

Il loro obiettivo è mettere al bando, qui dentro casa nostra, nella nostra culla della libertà, nella nostra patria dei diritti fondamentali della persona, qualsiasi critica e meno che mai condanna dell’islam come religione. L’islamofobia verrà bandita per legge in tutti gli stati europei, in ottemperanza ad una prima risoluzione, la 16/18 approvata dalla Commissione per i diritti dell’uomo delle Nazioni Unite a Ginevra nel marzo 2011 che contempla la lotta contro l’intolleranza, gli stereotipi negativi, la stigmatizzazione della discriminazione, l’incitamento alla violenza, l’uso della violenza contro le persone sulla base della loro appartenenza religiosa. Per la verità quest’insieme è esattamente ciò che ritroviamo nel Corano e nella predicazione d’odio, di violenza e di morte delle moschee, ma incredibilmente si ritorcerebbe contro coloro che non vogliono sottomettersi all’islam, al Corano, a Maometto e alla sharia, la legge imposta dal loro Allah.

Ed è così che lo scorso 15 e 16 febbraio a Bruxelles, con il benestare dell’Unione Europea, l’Organizzazione per la Cooperazione Islamica (Oic), finanziata dai sauditi e il cui attuale segretario generale è il turco Ekmeleddin Ihsanoglu, ha organizzato un seminario per denunciare la campagna anti-islamica presente in alcuni mezzi di comunicazione di massa in Occidente, con l’obiettivo di indicare ai partecipanti, compresi i giornalisti occidentali non islamici ma conniventi con gli islamici, come contrapporsi alla campagna mediatica anti-islamica. Questa iniziativa avrebbe già il sostegno di Obama e della Clinton.

Come è possibile che finiremo per imporci da soli il bavaglio? I teorici del relativismo nostrano, compresi quelli che si annidano nella Chiesa, per screditare il valore delle radici giudaico-cristiane della civiltà laica e liberale dell’Occidente, spesso fanno riferimento al versetto tratto dal Vangelo secondo Luca (6,43-49) che recita «ogni albero si riconosce dal suo frutto». A loro avviso non sono tanto importanti le radici bensì i frutti dell’albero. Una tesi che mira a mettere aprioristicamente e acriticamente sullo stesso piano tutte le religioni, le culture e le ideologie a prescindere dai loro contenuti perché, secondo i relativisti, si può aderire ai valori non negoziabili della sacralità della vita, della dignità della persona e della libertà di scelta partendo da radici diverse e finendo per condividere lo stesso frutto. Bene, ai relativisti nostrani ricordiamo la prima parte del versetto evangelico che chiarisce: «Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono». A che cosa mi riferisco? Dopo la sbornia ideologica che ha trascinato in modo pressoché compatto l’Occidente succube del materialismo e ammalato di relativismo ad infervorarsi per la cosiddetta «Primavera araba», caldeggiando l’indizione delle elezioni con il coinvolgimento delle forze d’opposizione islamiche che sono esplicitamente ostili ai diritti fondamentali della persona e alla democrazia sostanziale, oggi tocchiamo con mano i frutti dell’operato degli islamici che si sono imposti al vertice del potere.

Ovunque sta montando una campagna di condanna a morte, con l’emissione di fatwe (responsi giuridici), contro i «nemici dell’islam». In Arabia Saudita rischia di essere giustiziato il giovane giornalista Hamza Kashghari per essersi rivolto su Twitter in modo colloquiale a Maometto nella ricorrenza del suo compleanno scrivendo: «Non pregherò per te. Non m’inchinerò davanti a te. Non ti bacerò la mano». In Egitto Naguib Sawiris, cristiano copto, magnate della comunicazione mondiale, è già stato portato in tribunale per avere pubblicato sempre su Twitter l’immagine di Topolino e Minnie, l’uno con la barba da salafita, l’altra con il velo integrale.

In Tunisia sono sotto processo sia il direttore della tv Nessma fondata da Tarak Ben Ammar sia il direttore del settimanale Attounisia per oltraggio all’islam. Tanti altri casi di censura alla libertà d’espressione, nel nome dell’islam, si susseguono anche in Marocco, Algeria, Libia, Yemen, Pakistan, Nigeria, Indonesia e Malaisia. Ma il problema vero è che ormai non possiamo più permetterci il lusso di dissertare a distanza delle sciagure altrui. Dobbiamo occuparci direttamente e immediatamente delle nostre sciagure di cui noi siamo i veri responsabili. Sveglia Occidente!