Nelle foibe, vittime del comunismo di Tito, sono finite circa 9 mila persone, ree soltanto di essere di nazionalità italiana. In ricordo di questa vergogna, simile a quella dei campi di sterminio nazista e dei gulag di Stalin, il Giornale di Brescia ha dedicato due pagine, dalle quali estraiamo l’intervista a Luciano Rubessa, presidente del Centro mondiale per la cultura giuliano-dalmata.
BRESCIA – 8.2.2012 – «Meglio via che diventare schiavi di Tito», titolavano i giornali del dopoguerra, raccontando la diaspora di 300-350.000 italiani fra Italia, Canada e Australia. Molti passarono anche per Brescia, per una sosta temporanea. O per mettere radici. Memorabili furono l’impegno e la passione profusi dal primo presidente degli esuli bresciani, Antonio («Tonci») Cepich, scomparso nel 2007. Luciano Rubessa, esule da Fiume, per anni ne ha continuato e sviluppato l’opera, ed oggi è il presidente del «Centro mondiale per la cultura giuliano-dalmata» (Cmc).Presidente Rubessa, come venne organizzata a Brescia l’accoglienza dei profughi e cosa resta di quell’esperienza così traumatica?
«Nella nostra città approdarono a più riprese oltre 5.000 esuli, sistemati nell’ex caserma di via Callegari. Altri vennero distribuiti nei campi raccolta profughi di Chiari (1.500 persone), Fasano, Bogliaco e Gargnano (2.000). Trovammo case e industrie distrutte, grande disoccupazione e, purtroppo, tanta, maledettissima fame. Eppure, nonostante i difficilissimi conti interni, i rudi e silenziosi bresciani ci accolsero benevolmente. I disagi furono pesanti, la miseria vera, ma la grande voglia di fare tipica della nostra gente e l’aiuto delle istituzioni dell’epoca, ci portarono col tempo a trovare lavoro e casa. Molte le privazioni e i disagi, ma forte la soddisfazione di aver contribuito alla ricostruzione e alla rinascita del Paese, ovunque ci siamo insediati».
A distanza di oltre sessant’anni dagli eccidi delle foibe e dal dramma dell’esodo, è possibile parlare ancora di «rivendicazioni» degli esuli? E quali?
«Le ferite non sono rimarginate. Non possiamo dimenticare gli infoibamenti, le deportazioni nei gulag, l’espulsione forzata di chi era colpevole soltanto di appartenere all’etnia italiana, le confische dei beni e l’umiliazione dei campi profughi. Alla Croazia, nell’ambito della procedura di adesione all’Ue, inoltriamo le medesime richieste già rivolte a suo tempo alla Slovenia, ossia: le scuse, in maniera ufficiale e solenne, agli italiani, agli esuli e ai loro famigliari; la restituzione dei beni confiscati ai legittimi proprietari, e in subordine un equo indennizzo; il permesso alla riesumazione dei corpi delle vittime gettate nelle foibe; l’obbligatorietà del bilinguismo negli istituti scolastici e universitari di tutta l’area istriana, quarnerina e dalmata, da estendere alla cartellonistica stradale».
Come ricorderete il 10 febbraio?
«Il Cmc ha promosso un convegno, venerdì mattina alle 10 in S. Giulia, sul ruolo della Serenissima, dell’Istria, Fiume e Dalmazia quali baluardi di civiltà ai confini orientali. Davanti ai tentativi di negare la verità storica, proponiamo un viaggio alle radici della secolare presenza e dell’eredità culturale latina e veneta in quell’area».