In Inghilterra la “Charity Commission”, l’ente governativo incaricato di regolare tutte le pratiche religiose nel Regno Unito, ha stabilito che l’adorazione dei Druidi per gli spiriti che pervadono il mondo della natura può aspirare allo status di vera e propria religione.
Dopo un’indagine durata quattro anni, la Charity Commission ha concluso che il druidismo fornisce un insieme di pratiche coerenti e strutturate per l’adorazione di un essere supremo e che queste sortiscono un impatto morale benefico sulla comunità dei fedeli. (Estratto da: La Stampa – 2.10.2010).
Eduard Panchaud scrive: “Quando esaminiamo attentamente il carattere dei fatti relativi alle credenze religiose della Gallia, noi riconosciamo due sistemi di idee, due corpi di simboli e di superstizioni assai distinti: l’una tutta sensibile, derivante dall’adorazione dei fenomeni naturali o accettante gli dèi propri dei popoli vicini, l’altra fondata su un monoteismo metafisico misterioso, che conosce il Dio creatore e il Dio della provvidenza”. [1]
Panchaud è uno studioso delle tradizioni celtiche ed è un “ministro dell’Evangelo”.
Di diverso avviso il parroco di Bishopton, Edward Davies, il quale ritiene che i Druidi non conoscessero l’unità di Dio, o della “grande prima causa”, anche se afferma di avere qualche “ragione di concludere che essi conoscessero la sua esistenza e la sua provvidenza attraverso lo spesso velo delle superstizioni”. [2]
Ora, questa idea, permanente in chi ha studiato il druidismo con la lente del cristianesimo, che i Druidi non conoscessero il Dio unico e provvidente, o fossero, di volta in volta, politeisti o animisti, non corrisponde assolutamente alla teologia druidica, che mi pare più compiutamente delineata, in alcuni suoi tratti fondamentali, dal grande celtista Jean Markale.
Per i Druidi, scrive Jean Markale, la creazione è continua e perpetua e Dio non è, ma diviene. [3] Conseguentemente, secondo Markale, il pensiero di Eraclito è vicino a quello druidico[4], laddove la natura e l’universo sono regolati dal Logos, dove parola, ragione, meglio, relazione, sono verità e sinonimo di divinità. Il Logos eracliteo è l’ordine universale espresso e riversato nella molteplicità del divenire, è il ritmo dell’universo, è la legge universale che opera nel mondo, una legge divina che guida magistralmente il mondo, una mente che muove il cosmo attraverso il cosmo stesso: “Una è la sapienza, conoscere la mente che per il mare del Tutto ha segnato la rotta del Tutto” (Eraclito – FR 13 Diano).
Non esiste, pertanto, una separazione tra un dio creatore immobile e trascendente e una natura creata, in divenire. Non c’è un dio primordiale. “Dio – scrive Markale – era il compimento dell’azione collettiva di tutti gli esseri e questi esseri provenivano semplicemente da un Dio «tutto» solo in potenza”.[5] E potenza, flaith in irlandese, è il fondamento naturale di tutte le cose.
Possiamo, pertanto pensare, ad un ordine universale, attuato dal Duw, che compare nelle Triadi bardiche come demiurgo, ossia come Logos ordinatore di una natura increata, eternamente esistente, così come eternamente esistente è il Dio tutto in potenza, il quale, “crea” nell’ordinare la natura, in un eterno divenire che è perenne trasformazione e al contempo manifestazione dell’ordine divino.
In questo divenire del Dio “creatore” si intravvede anche la ragione dell’esperienza del “creato”, in quanto questa esperienza è al contempo l’esperienza di Dio. L’esperienza di ogni singola individualità diviene, pertanto, come elemento di un divenire infinito, dove la potenza ordinatrice fa esperienza di se stessa, accrescendo il suo bagaglio informativo. In questa idea del divino acquista senso l’affermazione di Panchaud di un “monoteismo metafisico misterioso”, in quanto nell’esperienza ordinante ed improntante di una materia eternamente esistente, il “Puro pensiero” accresce se stesso attraverso l’esperienza dell’ordinare e le esperienze degli ordinati.
Nei Barddas, raccolta di testi druidici antichi fatta da Iolo Morganwg (al secolo Edward Williams) ed editata in inglese con traduzione e note del reverendo J.Williams ab Hitel M.A. (ora disponibile in italiano grazie all’impegno della Collegio druidico nazionale, diretto da Alessandro Topi, con traduzione di Enrico Selleri e edito da Anguana Edizioni) si legge che il “male” Cytraul, è destituito di vita e di intenzione; è una cosa di necessità e non di volontà, priva di essere e di vita nell’ambito dell’esistenza e della personalità, ma anche che Dio (Duw), “dopo essersi unito con ciò che è privo di vita, ossia con il male, con l’intenzione di sottometterlo alla vita, ha impartito l’esistenza della vitalità agli esseri animati e viventi e così la vita si impossessò di ciò che è morto”.
Un concetto, quello espresso nei Barddas, che riecheggia quello platonico, in base al quale il divenire è il dato primario e originario, il primitivo caos, al di là del quale il pensiero non sente ancora il bisogno di risalire. Platone enuncia che “il non essere è, e quindi, che la realtà è un miscuglio di essere e non essere; questo non essere è altro dall’essere, è l’inseparabile negatività, col cui concorso l’essere si genera”. [6] E’ il demiurgo che da uno stato originario di confusione e di disordine fa uscire l’ordine.
Anche Aristotele concepisce il rapporto tra la forma e la materia come un rapporto tra l’essere e il non essere, dov’è meglio caratterizzato il valore di pura idealità dei termini e il significato della loro unione.
Il Duw, il Dio dei Druidi, è dunque il Logos, la Parola ordinante, che è Verità, in quanto disvelamento del velato. I Druidi veneravano il potere della parola, che era munita di forza e di vitalità. Attraverso la verità, dicevano, “la terra perdura”. La Verità era la Parola e la Parola sacra e divina non doveva essere profanata. [7] “Per i Druidi e per i Bramini, il principio donatore della vita e alla base del potere era la parola di verità causa ultima di tutti gli esseri”. [8]
Nella dottrina druidica “si assisteva – scrive ancora Markale – ad una sublimazione della natura in quanto manifestazione divina. Era grazie ad essa che si comunicava con Dio. Ma la natura non consisteva solamente nelle montagne, nei fiumi, nelle foreste, era anche l’essere umano nella sua dimensione corporea. La carne non era maledetta, bensì esaltata allo stesso modo dello spirito, poiché in definitiva corpo e anima non erano che le due facce della medesima realtà. Non esisteva conseguentemente alcuna interdizione sessuale. Le proibizioni erano invece di natura magica, con riferimento a una visione globale dei rapporti tra l’individuo e il mondo circostante, senza alcuna connotazione moralistica”. [9]
“L’uomo – scrive Markale – non è rinchiuso nella materia, ma si espande in essa, perché il mondo è in perpetuo divenire. Il che esclude ogni idea di caduta, di un Satana, spirito del male, che avrebbe creato un mondo imperfetto caricatura dell’opera di Dio. Satana non è celtico, è persiano. E se i cristiani gli hanno dato la parvenza e gli attributi del dio gallico Cernunnos, il dio cornuto, è perché non riuscivano a sbarazzarsi di questo ingombrante personaggio, espressione di forza e di fecondità. E se non c’è Satana, non c’è neppure un problema del male metafisico. Il male era semplicemente l’imperfezione degli esseri, imperfezione normale in un’evoluzione perenne: era piuttosto il «perfetto», cioè il «compiuto», a equivalere al nulla. Conseguentemente, il male in tutte le sue forme (ingiustizie, violenze, malattie, sofferenze) non era che una serie di incidenti di percorso necessari per pervenire a uno stato superiore”. [10]
Fionnbharr
[1] Eduard Panchaud, Le druidisme; ou, Religion des ancians Gaulois – Losanna 1865
[2] Edward Davies, The mithology and rites of the British Druids, London 1809
[3] Jean Markale, Il Druidismo, Mediterranee
[4] Jean Markale, Il Druidismo, Mediterranee
[5] Jean Markale, L’enigma dei Catari, Sperling
[6] Guido de Ruggiero, La filosofia greca, Laterza.
[7] Peter Berresford Ellis, Il segreto dei Druidi – Piemme
[8] Peter Berresford Ellis, Il segreto dei Druidi – Piemme
[9] Jean Markale, L’enigma dei Catari, Sperling
[10] Jean Markale, L’enigma dei Catari, Sperling