Athenagate è uno scandalo milionario che investe interessi strategici dell’Italia e che apre una pista di indagine riguardante gli interessi trasversali tra Vaticano e Cina.
Partiamo dalla cronaca recente propostaci da Adnkronos.
Mia Grassi e Tommaso Gallavotti scrivono su Adnkronos del 5 giugno 2020: “La stangata al Vaticano: truffe, veleni, raggiri, estorsioni, lotte di potere, loschi affari e faccendieri spregiudicati, tradimenti consumati nei sacri palazzi, funzionari infedeli, rogatorie in Svizzera, indagini a Londra, il progetto di un bond da 30 milioni di euro con la Banca Popolare di Bari, infiniti rivoli di denaro che portano lontano, lontanissimo, dall’obolo di carità per i poverelli a cui i tanti soldi spariti erano destinati. Il più grande scandalo finanziario di sempre a Oltretevere, per come lo hanno ricostruito i magistrati vaticani, e che l’Adnkronos è in grado di rivelare (si parte da 300 milioni ma le cifre dei soldi che ballano in varie operazioni sarebbero molto più alte) si è consumato negli anni all’insaputa di un Papa Francesco impegnato in un’epocale e radicale opera di moralizzazione che non pochi nemici ha incontrato (e tuttora incontra) sulla sua strada”.
“Quello che si dipana in queste ore dopo l’arresto di Torzi – scrivono Mia Grassi e Tommaso Gallavotti – è uno scandalo senza precedenti che non risparmia niente e nessuno e che con l’arresto del broker per peculato, truffa, estorsione e auto riciclaggio è destinato a terremotare la Chiesa di Roma. Un sisma giudiziario che si traduce nella gestione “allegra” di centinaia e centinaia di milioni di euro relativa all’acquisto da parte della Segreteria di Stato Vaticana dell’immobile di Sloane Avenue nella capitale britannica (prezzo triplicato rispetto al valore iniziale). Tutto, dunque, ruota attorno all’imprenditore Gianluigi Torzi, intervenuto nell’affare – secondo i magistrati pontifici – per risolvere l’impasse della partecipazione della Santa Sede al fondo Athena e diventato poi, secondo la procura vaticana, l’uomo in grado di tenere in pugno la segreteria di Stato fino a riuscire a estorcerle 15 milioni di euro”.
“Per gli inquirenti dell’Ufficio del Promotore di Giustizia Gian Piero Milano e del suo aggiunto Alessandro Diddi – scrivono sempre Mia Grassi e Tommaso Gallavotti -il quadro si fa inquietante a cominciare dagli investimenti fatti dalla Segreteria di Stato nell’Athena Capital Global Opportunities Fund del noto finanziere Raffaele Mincione, dopo un analogo tentativo di business naufragato in Angola: un’operazione, quella con Athena, nata quando a capo della sezione Affari generali della Segreteria c’era monsignor Angelo Becciu, e considerata anomala dalla magistratura vaticana già solo per il fatto che si fosse deciso di finanziare in parte il fondo con i denari dell’Obolo di San Pietro, destinando dunque somme possedute con vincolo di scopo per il sostegno delle attività caritatevoli a vere e proprie operazioni speculative”.
“La necessità di uscire da questa operazione scomoda che era costata milioni di euro al Vaticano – proseguono i due giornalisti – porterà poi al ‘caso’ dell’acquisto dell’immobile di Sloane Avenue con l’intermediazione di Torzi e della sua Gutt Sa, scatenando uno dei più violenti scontri mai registrati Oltretevere e uno scambio al vetriolo tra il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, che ha definito “opaco” l’affare di Londra, e l’ex Sostituto della Segreteria di Stato, mons. Angelo Becciu, che ha assicurato di aver sempre agito nell’esclusivo interesse della Santa Sede arrivando a evocare la ‘macchina del fango’”.
“Con indagini mirate la “procura” pontificia avrebbe accertato ruoli e interessi dei protagonisti oltre al percorso dei “soldi dei poveri” finiti a finanziare acquisizioni – osservano gli inquirenti come riportato da Mia Grassi e Tommaso Gallavotti – di azioni per diversi milioni di dollari, la sottoscrizione di obbligazioni e perfino quella di un bond emesso da una società riconducibile ancora a Mincione per 16 milioni di dollari: tutte mosse che peraltro, lungi dal portare un guadagno alle casse del Vaticano, per gli inquirenti si sono tradotte in una perdita accertata di oltre 18 milioni di euro al settembre del 2018 e che, secondo gli investigatori, potrebbero nascondere una enorme voragine nei conti della Santa Sede”.
La notizia è di primaria importanza, in quanto il fondo Athena porta diritti al Vaticano e alla scalata a Banca Carige, Tas e Retelit.
Vediamo di ricostruire i fatti, in parte già accennati dall’articolo di Mia Grassi e Tommaso Gallavotti.
Dovevano andare ad un investimento petrolifero in Angola i fondi dell’Obolo di San Pietro, ma poi sono stati dirottati per l’acquisto di un palazzo in Sloane Square a Londra. A operare è il Fondo Athena (che fa riferimento al Vaticano), i cui soldi, mentre l’investimento londinese fatica a decollare, vengono usati per scalare Banca Carige (per molto tempo banca di riferimento della Cei), Tas e Retelit.
Per quest’ultima scalata il Financial Times, ha scoperto che una società finanziata da un fondo d’investimento finito al centro di uno scandalo Vaticano aveva assunto l’attuale presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte come consulente poco prima della sua nomina a capo del governo.
La vicenda risale alla primavera del 2018, quando il fondo Fiber 4.0, di proprietà al 40 per cento del finanziere Raffale Mincione, si stava scontrando con un’altra cordata di azionisti per il controllo di Retelit, una società proprietaria di 8 mila chilometri di fibra ottica in tutta Italia. Il Financial Times ha scoperto che il denaro con cui Mincione aveva conquistato la posizione di guida all’interno di Fiber 4.0, circa 200 milioni di euro, proveniva dalla segreteria di Stato del Vaticano. Proprio la segreteria di Stato del Vaticano e i suoi giri di affari con le società di Mincione sono al centro di un’indagine della polizia vaticana, che all’inizio di ottobre ha portato alla sospensione di cinque dipendenti della segreteria di Stato e al sospetto che milioni di euro siano stati sottratti alle casse del Vaticano per realizzare investimenti azzardati e che ora, stando alle cronache, comincia ad uscire allo scoperto.
Conte venne coinvolto in questa vicenda proprio dal consorzio Fiber 4.0 guidato da Mincione. Nell’aprile del 2018 il gruppo era stato sconfitto in una votazione per il controllo di Retelit. Per cercare di rovesciare il risultato Fiber 4.0 ingaggiò Conte come consulente per un parere legale. Il 14 maggio, poche settimane prima della formazione del governo Lega-Movimento 5 Stelle, Conte inviò la sua consulenza a Fiber 4.0: l’unico modo di rovesciare la votazione a loro sfavore era un intervento del governo tramite il “golden power”, lo strumento che permette all’esecutivo di imporre a società ritenute strategiche, come quelle di telecomunicazioni, di seguire particolari orientamenti o di fare certe scelte piuttosto che altre. Meno di un mese dopo Conte divenne presidente del Consiglio e in uno dei primi Consigli dei ministri venne deciso di esercitare il “golden power” su Retelit, esattamente come lui stesso aveva suggerito nel suo parere per conto di Fiber 4.0.
Il Presidente del Consiglio ha più volte ribadito che non vi è stato alcun conflitto di interessi e non spetta a noi stabilire se ha torto o ragione. Per questo ci sono gli organi competenti.
Rimane il fatto che l’intreccio porta dritto in Vaticano, perché è con i suoi soldi che si sono fatte varie operazioni.
Va inoltre detto che Retelit non è una società qualsiasi.
Retelit, uno dei principali operatori italiani di servizi dati e infrastrutture nel mercato delle telecomunicazioni, ha infatti ampliato, nel marzo 2018, come si legge sul sito della società, la sua rete internazionale con l’inserimento di nuove tratte di capacità in Asia e in Europa, pari a 160 Gbps. Le nuove rotte vanno ad aggiungersi a quelle già operative sul cavo sottomarino AAE-1, che con i suoi 25.000 km collega tre continenti (Asia, Africa, Europa) da Marsiglia a Hong Kong, e a quelle paneuropee.
L’operazione ha previsto l’apertura di nuove rotte diversificate per il Mediterraneo e il Far East. In particolare, Retelit ha rafforzato la sua presenza in Asia con un nuovo collegamento diretto tra Singapore e Hong Kong, diversificato rispetto alla corrispondente tratta già raggiunta tramite il cavo sottomarino AAE-1, nell’area del Mediterraneo con un anello tra la Sicilia e la Grecia (in particolare tra Palermo e Atene) e, infine, diversificando la tratta end to end dall’Italia al Far East, con un ulteriore collegamento diretto tra Palermo e Singapore.
Sempre sul sito della società si legge che l’infrastruttura in fibra ottica di proprietà della società si sviluppa per oltre 12.500 chilometri (equivalente a circa 321.000 km di cavi in fibra ottica) e collega 10 reti metropolitane e 15 Data Center in tutta Italia. Con 4.000 siti on-net e 41 Data Center raggiunti, la rete di Retelit si estende anche oltre i confini nazionali con un ring paneuropeo con PoP nelle principali città europee, incluse Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi e Marsiglia, raggiungendo anche New York e il New Jersey, negli USA.
Retelit è membro dell’AAE-1 (Africa-Asia-Europe-1), consorzio che gestisce il sistema di cavo sottomarino che collega l’Europa all’Asia attraverso il Medio Oriente, raggiungendo 19 Paesi, da Marsiglia a Hong Kong, con una landing station di proprietà a Bari e del Consorzio Open Hub Med, nodo delle telecomunicazioni digitali nell’area del Mediterraneo, con un Data Center di proprietà a Carini (PA).
Dal novembre 2018 l’azienda è parte di Ngena (Next Generation Enterprise Network Alliance), alleanza globale di operatori di telecomunicazioni nata per condividere i network proprietari dei membri e fornire una rete di connettività dati globale stabile e scalabile.
Tali asset fanno di Retelit il partner tecnologico ideale per gli operatori e per le aziende, con un’offerta completa di soluzioni digitali e infrastrutturali di qualità, affidabili e sicure. I servizi vanno dalla connessione Internet in fibra ottica al Multicloud, dai servizi di Cyber Security e Application Performance Monitoring ai servizi di rete basati su tecnologia SD-WAN.
Retelit è, come si vede, una società strategica nelle telecomunicazioni e non sfugge che rientra nell’alveo della sicurezza nazionale e di quella delle alleanze che l’Italia ha con altri Paesi e europei e con l’America.
La scalata a Retelit ha avuto chiaramente un valore strategico per il ruolo dell’Italia nel quadro internazionale.
Che ci faceva il Vaticano in questa complessa manovra? E’ questa la vera domanda alla quale rispondere, visto che il Vaticano è il maggior sponsor dei rapporti dell’Italia con la Cina. Siamo proprio sicuri che l’indignazione del Segretario di Stato Pietro Parolin non sia un modo per prendere le distanze da una situazione divenuta scottante, ma che, nella sostanza, andava nella direzione di favorire i rapporti tra Vaticano e Cina?
Se una società italiana, ossia Fiber 4.0, di fatto con i soldi del Vaticano (Fondo Athena) scala Retelit e grazie alla golden power elimina i concorrenti, significa che Retelit è del Vaticano e può rappresentare un’ottima carta da gettare sul tavolo delle trattative con Xi Jinping, alla faccia degli interessi strategici italiani.
© Silvano Danesi