La storia ci chiede di riscrivere l’Europa

La vicenda catalana, esplosa in questi giorni con il referendum indipendentista, ha aperto una fase nuova nella storia dell’Unione Europea. Una fase nuova che implica la necessità di riscrivere l’Europa.

La frase «Se non hanno più pane, che mangino brioches» è tradizionalmente attribuita a Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena, che l’avrebbe pronunciata riferendosi al popolo affamato, durante una rivolta dovuta alla mancanza di pane. In effetti la regina non l’ha pronunciata, ma la frase è diventata famosa per il contesto nel quale è stata collocata e per la persona a cui è stata attribuita e ci comunica che chi non capisce le svolte della storia fa una brutta fine.

Ora le Marie Antoniette si sono insediate ai vertici dell’Unione Europea, che rispondono ad un problema di enorme portata, come quello della richiesta di indipendenza della Catalogna, dicendo che ci vuole dialogo, ma che la questione è del tutto interna alla Spagna.

L’Unione Europea è nata da un accordo tra stati e uno stato è un’entità giuridica che ha sovranità su un territorio, ma non è necessariamente coincidente con un popolo. Non a caso, la Spagna è formata da un insieme di popoli, tra i quali, sia detto per inciso, quello dei Baschi è il più antico del continente, avendolo ripopolato dopo l’ultima glaciazione.

La nazione non è uno stato e nemmeno un popolo, in quanto è semplicemente il luogo nel quale si è nati.

Infine, il popolo è un insieme di individui riuniti insieme, sotto vari aspetti: territorio, lingua, leggi, religione, usi, costumi, ecc.

L’idea di un’Europa come patria comune, che gli europeisti sostengono con forza, non poteva che avere un effetto nel rapporto tra popoli, nazioni e stati, con la messa in discussione di questi ultimi, in quanto nati da forzature storiche che si chiamano conquista.

La globalizzazione ha messo in moto un processo inarrestabile, che può essere condotto in vari modi, ma che presuppone una lucidità e una progettualità che le attuali classi dirigenti europee dimostrano di non avere.

Stare seduti su vecchi principi non serve a nulla quando la storia si incarica di travolgerli.

Una prima considerazione essenziale è che nella globalizzazione le aree forti economicamente e strutturate in quanto a filiere produttive dialogano tra di loro e con il mondo, superando gli stati nazionali. Piaccia o non piaccia è un dato di fatto.

La seconda considerazione essenziale è che gli stati europei, così come sono attualmente, sono costruiti su paradigmi ottocenteschi e con burocrazie obsolete e opprimenti.

La terza considerazione essenziale è che gli attuali confini degli stati nazionali sono il frutto di processi storici dove il tracciamento dei confini è avvenuto in base a guerre, vittorie e sconfitte che nei secoli hanno costretto i popoli in una camicia di forza che non sempre hanno condiviso.

La quarta considerazione essenziale è che la presenza dell’Unione Europea, che sconta un’origine basata sugli stati, è per la sua stessa esistenza un elemento di indebolimento della necessità degli stati nazionali e un elemento di rafforzamento delle aree economiche  o etniche nel loro desiderio di dialogare in un ambito più ampio di quello degli stati in cui sono incastonate.

Tutto questo genera uno scenario completamente nuovo e diverso da quello di quando vennero scritti a Trattati di Roma, che sconta una distanza di mezzo secolo in termini di tempo e una distanza di mille anni luce in termini di geopolitica mondiale.

La posizione della Comunità Europea è miope. Il tema che la storia ci pone davanti non è di continuare a pensare all’Europa come ad un insieme di stati, ma ad un’Europa  completamente diversa: un’Europa da riscrivere.

Si può pensare ad un percorso, come ha fatto Macron alla Sorbona, verso uno stato unitario europeo. Un percorso che il presidente francese ha suddiviso in alcuni grandi appuntamenti, il primo dei quali è la difesa e la sicurezza, con una “Cultura strategica comune”, una capacità di azione autonoma, complementare alla Nato”, una “forza comune di intervento”, un’intelligence comune e un’azione comune tesa a controllare “le nostre frontiere preservando i nostri valori”.

In politica estera ha indicato come priorità il Mediterraneo, un’indicazione condivisibile e strategica, e un intervento a sostegno dell’Africa, che si pone come il nuovo orizzonte per l’Europa.

Macron ha poi messo sul piatto le politiche energetiche e quelle produttive, la ricerca e l’innovazione, il rispetto della proprietà intellettuale, la riscrittura di una “grammatica di un modello sociale rinnovato”.

Il modello Macron implica un approdo finale ad uno stato Stato Europeo fortemente integrato, che, per il fatto stesso di esistere, depotenzia, di fatto, gli stati ottocenteschi che diedero vita all’Unione nel 1957.

Quello di Macron è un percorso, bisogna saperlo, che darebbe ulteriore spazio alle rivendicazioni di indipendenza dei popoli e delle aree forti del sistema europeo.

Il processo potrebbe, pertanto, anche passare attraverso l’indipendenza di alcuni popoli da alcuni stati, con la creazione di nuove entità statali. L’importante sarebbe che la Comunità Europea fosse in grado di armonizzare gli interessi dei popoli per farli sentire fratelli in una casa comune.

Una seconda via è quella di uno Stato Federale Europeo, con un Governo Federale, così come è l’America degli Stati Uniti.

Tuttavia, anche in questo caso, la valenza degli stati ottocenteschi, per quanto rinnovati nel secondo dopoguerra, verrebbe ad essere fortemente indebolita, a favore di un’autorità europea, alla quale potrebbero rivolgersi popoli, etnie, aree omogenee, per chiedere voce, riconoscimento, legittimazione.

La vicenda della Catalogna, ben oltre i suoi connotati specifici, apre una pagina nuova ed inedita. In discussione non è solo la Spagna, ma il concetto stesso di Europa degli stati, dei burocrati e della finanza.

E’ evidente che le attuali istituzioni europee sono inadatte alla bisogna e gli uomini che le dirigono sono tante Marie Antoniette. La regina finì male, perché non seppe capire ed essere all’altezza della storia: perse la testa per aver perso la testa.

E’ giunta l’ora di cambiare l’Europa dalle fondamenta.

Bisogna cominciare a ripensare l’Unione per portarla ad essere altro da quella che è ora. La storia è come i fiumi: prima o poi esonda e non concede sconti.

Purtroppo, è doloroso constatare che le classi dirigenti attuali non sono all’altezza del problema che la storia pone. E questo è il problema dei problemi.

Silvano Danesi

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