Alcune divinità basche sono legate alla terra, alle costruzioni sacre, alla casa.
Intxitxu era spirito invisibile che costruiva i cromlech. Irelu era spirito sotterraneo e la sua canzone si confondeva con il suono del vento. Beigorri era il guardiano di molte dimore di Mari ed era legato al bosco e al culto della casa: exte.
Gli antichi Baschi veneravano la memoria dei defunti il primo di novembre, giorno d’inizio della festa d’inverno, con l’accensione di sottili candele (argizaiolak). Le assonanze con la festività celtica di Samain sono evidenti. Il carnevale veniva festeggiato con la danza delle streghe e il solstizio d’estate con dei falò nelle campagne.
Il loro dio universale era Jaungoikoak o Jangoikoak, signore della luna, colui che diede origine ai tre principi della vita: Egia, la luce dello spirito; Ekihia, il sole, la luce del mondo e Begia, la luce del corpo.
Il popolo basco è legato al culto della casa, etxe: luogo fisico di origine, ma anche tempio e cimitero, simbolo e centro comune dei vivi e dei morti di una famiglia, protetto dal focolare simbolo della Dea Mari. Il potere soprannaturale di Exte risiede nell’alloro del suo orto o in quello che si conserva in casa, nella cenere del focolare, nei diversi rami di biancospino, di fiori solstiziali, del cardo silvestre, simbolo del sole, dall’ascia e dalla falce dotate di poteri mistici, ma anche per essere la dimora degli spiriti degli antenati e luogo da essi visitato per la perenne offerta di luce che si accende nelle anime conservando il fuoco del focolare, conformemente ad una rituale prescrizione o norma di «illuminare i morti almeno con una candela», per l’usanza di depositare sulle finestre offerte commestibili per i defunti e, infine, per il costume antico di orientare la sua entrata principale verso il sole nascente. [i]
[i] José Miguel de Barandarian, Mitología vasca, Txertoa