Mondialismo, malattia del bergoglismo

Scrive Jung che nessun “albero nobile, di alto fusto, ha mai rinunciato alle sue oscure radici. Esso cresce non soltanto verso l’alto, ma anche verso il basso”. (C.G.J-Psicologia e alchimia, Bollati Boringhieri).

Il grande e nobile albero d’Europa non può esistere se non è alimentata, al contempo, la crescita verso l’alto e verso il basso.

L’ideologia mondialista, sorosian-davosiana, è l’esatto contrario di quanto afferma Jung, uno dei massimi intellettuali europei del ‘900.

L’ideologia mondialista sorosian-davosiana è eradicante e conduce al disordine e alla catastrofe dell’umanità, riducendola ad un’informe insieme gelatinoso di consumatori e di schiavi del Kombinat buro finanziario, nuovo Leviatano. Non a caso all’ideologia sorosia-davosiana piace il kombinat totalitario cinese.

L’Europa dei popoli e delle nazioni è tale se sono riconosciute e alimentate le radici, affinché il fusto, i rami e le foglie crescano rigogliose.

Una delle radici d’Europa è sicuramente il cristianesimo. Non è la sola e nemmeno la più antica, ma è una radice poderosa. Una radice che il “bergoglismo” sta mettendo in serio pericolo.

Gli “ismi” vanno sempre distinti dalle idee originarie dalle quali derivano e dalle persone che le hanno pensate, essendo gli “ismi” cascami ideologici.

E’ quanto accade oggi con il “bergoglismo”, che sta trasformando la Chiesa cattolica apostolica romana in una Ong mondialista più vicina alle ideologie sorosian-davosiane che alla tradizione che ha fatto del cristianesimo una delle radici d’Europa.

“In effetti – scrive non a caso Benedetto XVI – la Chiesa viene in gran parte vista solo utilizzando categorie politiche e questo persino per dei vescovi che formulano le loro idee sulla Chiesa di domani in larga misura quasi esclusivamente in termini politici”. (Benedetto XVI, articolo pubblicato su Klesublatt).

Benedetto XVI, nell’Aula Magna dell’Università di Regensburg (Martedì, 12 settembre 2006) tenne un discorso, noto come il discorso di Ratisbona dove, tra le altre cose, disse. “L’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. La visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell’Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: “Passa in Macedonia e aiutaci!” (cfr At 16,6-10) – questa visione può essere interpretata come una “condensazione” della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l’interrogarsi greco. […] Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell’Antico Testamento, realizzata in Alessandria – la “Settanta” –, è più di una semplice (da valutare forse in modo addirittura poco positivo) traduzione del testo ebraico: è infatti una testimonianza testuale a se stante e uno specifico importante passo della storia della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro in un modo che per la nascita del cristianesimo e la sua divulgazione ha avuto un significato decisivo. Nel profondo, vi si tratta dell’incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall’intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero greco fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire “con il logos” è contrario alla natura di Dio”.

La grande cultura greca, altra radice poderosa, qui si coniuga con il cristianesimo.

Tra Papa Benedetto XVI e Papa Francesco la distanza è tendente all’infinito. Il Papa gesuita è, del resto, perfettamente in linea con l’azione della Compagnia di Gesù sin dalle sue origini: interventismo politico.

La Compagnia di Gesù è nata con il mondo moderno, quando il pensiero filosofico e scientifico ha fondato la sua autonomia. In questo si è subito differenziata dai grandi ordini medievali: Francescani, Carmelitani, Domenicani.

La Compagnia di Gesù è intervenuta sin dai suoi primi passi nella politica e nella realtà sociale, con alterne vicende e alterne alleanze: dall’assolutismo monarchico e reazionario austriaco, all’assolutismo dispotico dei monarchi illuministi.

Non è un caso che i Gesuiti siano stati cacciati da Venezia nel 1606, dalla Boemia nel 1618, da Napoli e dai Paesi Bassi nel 1676, dalla Francia nel 1764, dalla Spagna nel 1767, dal Portogallo nel 1769, da Roma e da tutta la cristianità nel 1773 (lo scioglimento dell’ordine è dovuto alla Lettera apostolica Dominus ac Redemptor del 21 luglio 1773 di Clemente XIV).

I Gesuiti sopravvissero protetti da re illuministi come Federico II di Prussia, che si giovò della loro collaborazione nelle regioni da lui dipendenti e abitate da popolazioni cattoliche e Caterina II di Russia, ossia da un re protestante e da una regina ortodossa.

Autori di esperimenti di comunismo paternalistico, attuati con le Riduzioni in Paraguay, Argentina, Brasile e Bolivia, i Gesuiti ebbero il plauso degli illuministi.

Dei Gesuiti è provebiale la sibillinità. Nel Compendium, ad esempio, alla domanda: “Si domanda a che cosa è obbligato un uomo che ha giurato in modo fittizio e per ingannare?”. La risposta è quantomeno inquietante: “Egli non è obbligato a nulla in virtù di religione, poichè egli non ha prestato un vero giuramento. Nullameno è obbligato dalla giustizia a mantenere ciò che ha giurato in un modo fittizio e per ingannare”. In aggiunta potremmo citare la seguente affermazione: “In ogni promessa fatta con giuramento, anche in via assoluta, vi sono certe condizioni tacite, come per esempio: se lo potrò; salvo il diritto e l’autorità superiore; purché le cose restino moralmente nel medesimo stato”.

Insomma, fidarsi di un giuramento, stando alla logica gesuitica, è perfettamente inutile.

Ed è con questi Gesuiti che nel ‘700 si sono alleati despoti illuminati come Federico II di Prussia e Caterina di Russia.

Federico II fu un despota illuminato. Despota, dispotico e dispotismo fanno, non a caso, la loro prima apparizione nel dizionario francese nel 1720. Formatosi, a quanto pare, alla fine del XVII secolo, il concetto di dispotismo finisce ben presto per indicare un regime politico in cui l’oppressione sociale va di pari passo con l’autorità assoluta del sovrano. Federico II di Prussia, despota illuminato, che si avvale dei Gesuiti è l’evidente attestazione della capacità della Compagnia di Gesù di intessere rapporti con gli ambienti più vari e di essere instrumentum regni. Con i resti sparsi della diaspora padre Pigantelli ricostruì la Compagnia dopo le guerre napoleoniche.

Un altro esempio riguarda l’Inghilterra dove Giacomo I (cattolico) tentò un difficile equilibrio tra le varie fazioni, represse con durezza vari attacchi della nobiltà, sia cattolica, sia protestante e asserì il diritto divino della monarchia (Deus meumque ius). Privo dell’abilità di governo della cugina Elisabetta, alla quale era succeduto con un passaggio dinastico dai Tudor agli Stuart, Giacomo cercò invano di mediare tra le richieste del partito cattolico e di quello protestante, ma di fatto la tensione interna si accrebbe. Per rispondere alle richieste di riforma religiosa dei puritani, autorizzò una nuova traduzione inglese della Bibbia, nota come versione di re Giacomo; appoggiò inoltre i vescovi della Chiesa anglicana contro i riformatori radicali protestanti, ma la sua difesa del diritto divino della monarchia gli attirò l’ostilità dei cattolici, che organizzarono contro di lui la Congiura delle polveri o Congiura dei Gesuiti, nel 1605.

Dire, come fa Benedetto XVI che la Chiesa “viene in gran parte vista solo utilizzando categorie politiche e questo persino per dei vescovi che formulano le loro idee sulla Chiesa di domani in larga misura quasi esclusivamente in termini politici” è non solo una constatazione dell’odierna realtà, ma un richiamo alla storia.

Non è fuori dalla storia dei Gesuiti, pertanto, l’alleanza attuale con il dispostismo illuminista buro finanziario e la ricerca di un’intesa con il Kombinat cinese.

 

Silvano Danesi

 

 

 

 

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